7 Gennaio 2019

SCENT: da Unife la startup che rileva i tumori dai… gas intestinali!

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La parola SCENT evoca a chi mastica un po’ di inglese fragranze particolari e profumi raffinati, venduti in costose profumerie del centro storico. Il termine significa infatti profumo in qualunque paese a lingua anglofona ma di certo non in un laboratorio dell’Università di Ferrara, dove l’acronimo S.C.E.N.T. indica invece una promettente startup nata in seno al Dipartimento di Fisica e Scienze della terra. La sigla sta per SemiConductor-based Electronic Network for Tumors e la mission di questa società è quella di progettare, testare, produrre e commercializzare strumenti di screening per rivelare formazioni tumorali attraverso l’analisi dei gas emessi dal corpo umano. Un nome ironico dunque, anche se quello che il team di SCENT ha brevettato e a breve commercializzerà è qualcosa di estremamente serio.

L’idea di base di SCENT riguarda lo screening preliminare di formazioni tumorali al colon-retto (sin dallo stadio di adenoma). Lo strumento per il monitoraggio, indicato con il nome di SCENT A1, è ancora ad uno stadio di prototipo, ed è brevettato in Italia, Regno Unito e Germania. È portatile, a basso costo ed è semplice da utilizzare anche da parte di personale non qualificato.

Dal 2004 a Ferrara lo screening nei pazienti di età superiore ai 50 anni si affida a metodologie non completamente affidabili come la ricerca del sangue occulto nelle feci, cui segue in caso di test positivo la colonscopia. Il test è un sistema parecchio fallibile perché può rilevare la presenza di sangue anche per altre motivazioni e i falsi positivi arrivano addirittura al 70%, dunque un alto numero di pazienti viene mandato a fare inutilmente un esame più invasivo per accertamento. Circa la metà di questi pazienti poi, rinuncia del tutto a procedere, per una comune paura di un esame invasivo e per molti doloroso.
Qui entra in gioco SCENT: se e solo se il test del sangue risulta positivo viene eseguito anche il nuovo test, su un campione di feci congelate, dunque in totale assenza del paziente e con risultati immediati. Se anche questo test risulta positivo si procede all’esame invasivo, limitando quindi la casistica ai soli pazienti effettivamente malati. Molte persone hanno infatti adenomi talmente piccoli che non peggioreranno nemmeno nel giro di vent’anni e non ha senso inizino alcuna terapia.

Alcuni dei sensori usati da SCENT – foto Giacomo Brini

Per capire di più sul suo funzionamento e immaginarne le applicazioni future siamo andati a trovare Giulia Zonta e Nicolò Landini, rispettivamente responsabile commerciale e amministratore della società che hanno fondato insieme al resto del team di chimici e fisici, guidati dal presidente Prof. Cesare Malagù. Lavorano in uno dei blocchi del Tecnopolo di via Saragat, in una stanza che è poco più grande di una cameretta per studenti, quasi del tutto spoglia e semplice, adiacente ai laboratori per sensori che consentono loro di effettuare i test necessari per lo sviluppo. Una delle prime cose che ci vengono mostrate sono però le enormi officine condivise con il Dipartimento, dove tra le altre cose i ricercatori possono utilizzare una camera bianca per la sintesi del materiale che compone i loro sensori. Per chi è poco avvezzo a laboratori medici e scientifici è un laboratorio chimico la cui caratteristica principale è la presenza di aria molto pura, cioè a bassissimo contenuto di microparticelle di polvere in sospensione.

La Camera Bianca – foto Giacomo Brini

In questo momento SCENT rappresenta una startup che non ha nemmeno davvero iniziato a emettere fatture come una qualunque azienda. In questa fase sono ancora quasi uno spinoff che fa ricerca e attende la validazione clinica del dispositivo, processo lungo e costoso che dovrebbe terminare il prossimo aprile. La società è nata nel 2015 ma il team si basa su un Comitato Scientifico che dirige la ricerca, con competenze eterogenee: fisica, chimica, statistica, informatica, biologia e medicina. Può vantare inoltre un’esperienza ventennale di ricerca nell’ambito della sensoristica di gas e alcuni importanti riconoscimenti: la StartCup Competition nel 2014, il premio YEI Franci@Innovationla vittoria del Premio Marzotto 2015, che ha consentito lo sviluppo dell’attività con l’acquisto di alcune infrastrutture tecniche, quella del bando LILT per la Ricerca Medica 2016 “Programma 5 per mille anno 2014”, fino al più recente riconoscimento con Cna Ferrara e il Premio Cambiamenti 2018. Proprio con CNA si è avviato così un confronto utile per aprirsi al mondo imprenditoriale e farsi conoscere sul territorio ad un pubblico più ampio di quello accademico e ospedaliero. Secondo i piani i primi dispositivi potrebbero essere pronti per il commercio dal 2020, quindi disponibili per le cliniche private e pubbliche al servizio dei pazienti italiani e via via di altri mercati europei.

La camera bianca – Foto Giacomo Brini

Giulia ci accompagna nel laboratorio sensori dove vengono eseguiti i test sui prototipi di SCENT. Sono scatole di metallo con interruttori e luci, nulla di ancora presentabile per il mercato perché al prototipo andrà data a tempo debito una forma definitiva. All’interno una scheda integrata principale, fili elettrici e alcuni sensori, bastano poche nozioni scientifiche di base per capire a grandi linee il funzionamento. I sensori dentro la scatola metallica contengono sopra un sottile film stampato nella camera bianca che grazie alla sua granularità intercetta il gas intestinale, sotto il sensore una bobina riscalda il circuito e crea un leggero potenziale tra due puntine d’oro. Quando la macchina è accesa un sistema pneumatico preleva aria dall’esterno fino a rilevare il valore stabile del potenziale, un interruttore consente di immettere il gas e viene calcolata la variazione di potenziale quando il segnale risulta stabile a monitor. Il software fornisce infine una risposta semplice sulla base dei dati analizzati: paziente malato oppure sano.

Il laboratorio sensori dentro il Tecnopolo – foto Giacomo Brini

“Di base abbiamo identificato tutti i malati nel campione testato – racconta Giulia – ma stiamo tarando il sistema per calcolare anche i casi di pazienti a più basso rischio, al momento abbiamo percentuali di riconoscimento intorno al 60%. Sono studi che richiedono molto tempo e che abbiamo iniziato molti anni fa, quando per primi abbiamo iniziato ad utilizzare le feci come marker tumorali. Inizialmente ci occupavamo di studi sui gas per vedere la risposta dei sensori, la svolta è stata quando in collaborazione con il Prof. Gabriele Anania dell’Ospedale Sant’Anna abbiamo iniziato uno studio di fattibilità sulle feci di pazienti malati e sani, tarando i nostri sensori fino ad iniziare i processi di validazione clinica ancora in corso.”

Nicolò ci racconta invece del nuovo filone di ricerca, che sta seguendo da vicino in collaborazione con il Prof. Giorgio Rispoli e che ha portato ad un nuovo brevetto denominato SCENT B1. Il dispositivo SCENT B1 è pensato due tipologie di applicazione. Il primo riguarda il monitoraggio post operatorio di campioni di sangue, al fine di individuare la presenza di marcatori tumorali volatili prodotti dalle masse tumorali localizzate o da metastasi. Il secondo è legato all’ambito della ricerca scientifica e riguarda la classificazione delle colture cellulari sulla base della tipologia, dell’età, dello stato di salute (e.g. cellule sane o tumorali), per ottenere informazioni utili sulle unità fondamentali dello sviluppo dei tumori, quali le cellule. SCENT B1 è composto da una struttura di base simile a SCENT A1 e le unità sensibili fondamentali sono sempre sensori di gas, tuttavia la applicazione dei materiali specifici per gli scopi designati (e relative metodologie di sintesi) sono oggetto di brevetto nazionale.

Il laboratorio sensori – Foto Giacomo Brini

Due linee di ricerca, due speranze in campo medico che aprono scenari importanti per la diagnosi e la prevenzione tumorale. L’augurio è che SCENT avvii presto la produzione e la commercializzazione di questi prototipi, rendendosi infine indipendente dai laboratori Unife e dalla mutua collaborazione che gli ha permesso di crescere utilizzando laboratori e macchinari. A pieno regime non basteranno certo una camera bianca e un laboratorio per tenere testa alla produzione di massa di apparecchiature mediche ma Giulia e Nicolò sono più che pronti. Un disegno appeso alla porta dell’ufficio tra mille schemi ed appunti li ritrae scherzosamente come un fumetto: tra tumori e barattoli di campioni organici con cui lavorano ogni giorno fa piacere vedere che trova spazio anche un po’ di umorismo. D’altra parte il nome della loro attività lo lasciava intuire…

Giulia Zonta e Nicolò Landini – Foto Giacomo Brini


BONUS: Intervista a Nicolò Landini per il premio Marzotto 2015