10 Giugno 2020

Da Barletta a Ferrara mangiando la notte: storia di un Cornetteros

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Se i mercati sono conversazioni, certi locali funzionano molto spesso grazie alle persone che li animano, a quei proprietari che ne determinano successi e fallimenti. Così la chiusura di una cornetteria del centro poche settimane fa è diventata un caso di cui parlano tutti, non tanto perché il virus si porta via un’attività che funzionava e piaceva a migliaia di ragazzi, ma perché il suo titolare è diventato in questi anni un punto di riferimento in una città tutto sommato piccola come Ferrara. Un influencer ante-litteram, sui social e nelle pagine dei giornali, capace di costruire negli anni una rete importante per far rinascere via Carlo Mayr, in equilibrio tra esigenze di studenti, locali e residenti.

Giuseppe Russo, 46 anni di Barletta, ha la parlantina tipica di molti delle sue parti. Lo noti subito nel contesto ferrarese, dove perfino le rockstar di passaggio sul palco ci accusano di essere un po’ freddi. Giuseppe da oltre vent’anni farcisce cornetti dolci e salati per grandi e piccini, ma lo fa più che altro per la gente della notte, quella che oggi chiamiamo impropriamente movida: da chi ha fatto chiusura in discoteca, allo studente fuorisede che tira tardi con chitarra e amici in piazza. Che suonino i bonghi fino al mattino, che si facciano le canne o che si assembrino fino a tardi senza mascherine, i giovani tiratardi restano da sempre il capro espiatorio di politica e opinione pubblica.

Giuseppe si è proprio specializzato in questo: individua la zona giusta, il place-to-be di ogni epoca e latitudine, apre, gestisce, chiude, rivende cornetterie da quando faceva l’università. Semplisce, che tutti a Ferrara chiamiamo ancora con affetto Los Cornetteros come recitava un tempo l’insegna, è solo l’ultimo di una serie di locali che oggi con fortune alterne esistono ancora sotto altre gestioni e proprietà. Cambiano amministrazioni, tempi e mode, l’età anagrafica inizia a farsi sentire e un lavoro notturno diventa faticoso per tutti, poi mettici pure la quarantena e così la voce è corsa veloce di bocca in bocca.

Quindi il Cornetteros chiude davvero.
Euggè, sono un po’ stanco, a parte tutto. Indubbiamente c’è una mazzata economica: è come avere un figlio alla Bocconi che però non studia. Qui le spese sono mensili e tenere ferma la cornetteria due mesi e mezzo senza nemmeno fare consegne a domicilio è stata durissima.

Ma come, tutti si sono buttati sul domicilio!
Si, ma le prime due settimane di lockdown è stato un boom poi la gente è corsa a comprare il lievito e farsi le cose in casa. Non servo più manco a fare le focacce…

focacce pugliesi e cornetti

Più che altro davanti c’è molta incertezza.
Quanto tempo mi serve per recuperare quelli che sono i mesi migliori di Ferrara? Mi servirebbe un anno intero per recuperare, sempre che a settembre tutto torni come prima. Con il terremoto nel 2012 la gente aveva paura cadessero calcinacci e non si è fatta vedere in centro per un bel pezzo. In quel caso non abbiamo nemmeno mai chiuso, mentre oggi abbiamo spese arretrate di alcune migliaia di euro.

Una situazione spaventosa, comune a tante realtà del centro che vivono di turismo e ristorazione.
Ormai invece di fare cornetti siamo diventati dei manager per far quadrare i conti. Prima avevi margini spaventosi, oggi fai un fatturato maggiore e metti in tasca infinitamente di meno. Alcuni locali del centro qui in zona pagano migliaia di euro al mese di affitto, per molti potrebbe essere dura superare l’estate.

Nel tuo caso però la quarantena è stata anche un’occasione per riflettere sul proprio stile di vita.
L’estate scorsa ho capito che non riuscivo a reggere più certi ritmi. Rimango qui mattina pomeriggio e sera, stacco solo per cena e poi vado a casa alle quattro di mattina quasi ogni giorno della settimana. Chiudiamo alle due ma tra pulizie e chiacchiere, pagare due bollette o sbrigare burocrazie online alla fine non sono mai a letto prima delle quattro e mezza, cinque. Non voglio morirci dietro a questa attività, è arrivato il momento di tirare un po’ il fiato. Vorrei stare di più con la mia famiglia, durante il lockdown ho riscoperto il fascino di stare a casa a giocare a carte con mia figlia…

venuta fame?

Insomma basta con la notte, stai ufficialmente invecchiando.
In questa zona una cornetteria è a tutti gli effetti un locale notturno e i ritmi di lavoro impongono che il fisico tenga. C’è chi ci scoppia dietro e chi tiene duro, anche se Ferrara non è una città difficile come potrebbe essere Bologna o Alghero dove ero negli anni Novanta e d’estate quadruplicava la popolazione. Facevo l’incasso di tutto l’anno in pochi mesi, ma avevo vent’anni in meno sulle spalle.

Hai mai fatto altro?
Io so fare questo… chi si abitua a vivere la notte fatica a tenere i ritmi della vita da ufficio, non si sveglia presto facilmente, non indossa volentieri giacca e cravatta. Devi rapportarti con le persone in modo serio mentre la sera qui passano i più seri professionisti della città in un contesto talmente informale che quasi non sembrano gli stessi…

Diamolo in gestione a qualche studente volenteroso e ricominciamo la storia.
Mi sarebbe piaciuto, ma ho sempre avuto come collaboratori studenti che una volta laureati hanno giustamente fatto altro. Questa zona si anima tardi, non è via Mazzini o Bersaglieri del Po, ha una vita esclusivamente notturna. Con queste regole del gioco un ventenne parte entusiasta e poi molla dopo tre mesi perché si rende conto che non ce la fa a tenere il ritmo.

lo staff di Semplisce, nel 2017. Giuseppe è quello che prova a fare babbo natale

Com’era il Giuseppe del 1996 che apriva la sua prima cornetteria?
Io ero uno di loro, uno che tirava tardi come i miei clienti, nè più, nè meno. Ho aperto il primo locale con alcuni amici in una piazzetta di Trani, che prima era un parcheggio proprio come piazza Verdi di Ferrara. Il locale più in voga quell’anno aveva aperto proprio davanti al nostro, così abbiamo subito spopolato.

Il botto a vent’anni.
Studiavo giurisprudenza, andavo in giro a bere e a ballare, mi piaceva la notte, ma volevo fare qualcosa di diverso dal solito bar. Così abbiamo investito quindici milioni di lire a testa io e altri amici. I soldi me li prestò mio padre e riuscii a ridarglieli in sei mesi, per dirti che numeri si facevano…

Poi, come Giuni Russo, sei voluto andare ad Alghero.
Dopo appena un anno, da Trani ho aperto ad Alghero di cui mi ero innamorato in vacanza. Io e l’amico illustratore Marco Tatò (autore di logo e disegni interni del locale di Ferrara ndr) ci siamo tuffati in questa nuova impresa: trentacinque metri quadri, un caldo infernale. Ancora aperto ma oggi è un franchising di un altro proprietario. Alghero per certi versi assomiglia a Ferrara: vive in una sorta di mix tra bellezza irrefrenabile e provincialismo compiaciuto, è un melting pot di culture e si accontenta della sua vita. Come se non bastasse una zona di Alghero fondata su una zona bonificata, Fertilia, è stata una colonia dove si trasferirono molti ferraresi nei primi anni del Novecento.

un’illustrazione dal locale los cornetteros

Quanto è durato l’idillio con la terra sarda?
Ancora un bel po’: nel 1998 abbiamo aperto una cornetteria anche a Sassari, ma l’abbiamo data in gestione. A proposito di movida, ci chiusero il locale con i sigilli per problemi di ordine pubblico. Chiudevamo alle sei del mattino e dopo una certa ora aumenta il rischio che arrivi la marmaglia: non per fare il moralista ma a quell’ora almeno la metà della gente ancora in giro è in preda all’alcool nel migliore dei casi e si rischiano risse o incomprensioni per cose sciocche. Dopo Sassari invece ho investito a Verona nel settore della logistica ma le cose sono andate davvero male e ho capito che non faceva per me, tornando ai cornetti.

Però nel mentre sei arrivato al nord. Cosa ti ha portato qui?
La mia attuale compagna lavorava ad Anzola, così ci siamo trasferiti a vivere nel modenese. Una sera sono venuto a Ferrara a trovare mio cugino che studiava qui. Sono passato in via Carlo Mayr davanti alle vetrine vuote del locale dove mi trovo ora, un’erboristeria si era da poco spostata pochi metri avanti. Intorno a me il delirio di gente, tra Messisbugo e Acqua pazza, mi è sembrato un luogo perfetto. Era l’estate del 2006.

E hai vissuto i primi tempi d’oro degli street bar nella nostra città.
Non da subito: il ferrarese è sempre un po’ diffidente, la maggior dei clienti sono stati a lungo studenti fuori sede e turisti: al sud mangiare i cornetti caldi la sera è una tradizione più consolidata, qui mi guardavano un po’ straniti… Poi il tam tam nella comunità di studenti pugliesi ha fatto il resto, anche se non ho mai ostentato il mio essere di una terra precisa. Quando ho iniziato a ingranare c’è stata l’ordinanza anti street-bar e ci è toccato chiudere presto per qualche anno. Ci abbiamo lavorato a lungo ma il patto di non belligeranza tra residenti e studenti è durato anni, senza problemi.

l’associazione mayr-verdi

Un ottimo lavoro è stato fatto anche dall’Associazione Mayr-Verdi che ti ha visto per anni protagonista.
Il merito è stato di Mauro Balestra che mi ha coinvolto da subito. Lui era in CNA e gli piaceva il mio essere critico, diciamo pure polemico. Così si è creata un’amicizia e poi una rete insieme agli altri esercenti della zona. L’obiettivo ancora oggi è realizzare qualcosa di più della semplice movida. Abbiamo proposto eventi molto partecipati, abbiamo sollecitato risposte dalla politica e provato a unire le forze in tempi di crisi.

Poi è arrivata Piazza Verdi. Apriamo questo capitolo?
Apriamolo. A noi commercianti è stato presentato il progetto praticamente finito, la piazza era bella che fatta e si parlava di un “salotto”. Con l’Associazione abbiamo insistito anni per avere un luogo adatto agli eventi e quando abbiamo visto i talk durante lo scorso Festival di Internazionale 2019 ci è sembrato un sogno.

Ma?
Ma la piazza così non è affatto un salotto, siamo in Carlo Mayr e qualcuno forse non ha compreso come sarebbe andata a finire. Forse bisognava trovare un espediente per rendere “scomoda” la piazza, per allontanare le persone ad una certa ora, tipo i getti di acqua in piazzetta Sant’Anna che con la scusa della fontana costringono tutti a levare le tende. Lo dico sorridendo ma credo renda l’idea.

I controlli e il numero chiuso non sono sufficienti?
Il numero di persone che passano di qui è aumentato grazie alla piazza, che si è presa la scena a discapito del sagrato del Duomo. Ma non c’è un presidio perché manca il famoso quarto turno di Polizia, così hanno mandato per settimane tre vigili con le volanti a sorvegliare dalle sette di sera fino a mezzanotte.

E ovviamente la gente esce dopo quel’ora.
Appena inizia la rumba vera e propria vanno via. Così a che serve? Ora inizia questa fase “a numero chiuso” con i tavoli di cinque locali che hanno aderito al progetto ma non so quanto sia una soluzione. Multe non se ne vedono più, e fare qualche ronda non risolve il problema. Speriamo scoraggi almeno certe persone moleste ricorrenti.

la movida “a numero chiuso” – sabato 6 giugno 2020

Alla fine la colpa se la prendono sempre i ragazzi.
Intendiamoci: la movida è socializzazione. Migliaia di persone con un bicchiere in mano hanno stretto accordi di lavoro, fatto nascere progetti e collaborazioni, messo su famiglia. Non tutti vanno a teatro o al cinema, l’economia gira anche negli aperitivi. Detto questo, una parte dei ragazzi esagera con l’alcool e rovina la serata agli altri. Se non c’è un limite al portarsi da bere da casa e sostare in piazza fino a tardi, è come consegnare le chiavi dell’auto a un ragazzino e raccomandarsi di non guidarla.

A chi spetta il compito di educare i più giovani?
Ci vogliono figure che facciano capire concetti che a noi sembrano lampanti ma che ad uno studente forse non vengono in mente. Mettici un mediatore, un vigile, un educatore, chiunque dotato di buon senso, ma bisogna farlo ragionando insieme ai locali della zona per avere una strategia comune. Parliamo seriamente del problema e proviamo a risolverlo insieme, senza palliativi e senza soluzioni di facciata utili solo ad avere qualche like in più.

Cosa ne sarà ora del tuo locale?
Non chiuderò subito, sicuramente per tutto giugno sarò ancora aperto e valuterò le offerte in arrivo. Sono motivato a cercare un’attività diurna, sempre nella ristorazione: invece che fare dal tramonto all’alba fare dall’alba al tramonto. Certo che qui un locale giusto con un bel bancone in angolo a servire cocktail sbancherebbe…

Perché non lo fai tu?
Perché non voglio avere a che fare con l’alcool, con la gente ubriaca. Se prendi una focaccia alle otto di sera io una birra te la vendo anche, ma se me la chiedi più tardi non è nemmeno a listino. Ho deciso di lavorare con persone serene e non voglio più avere a che fare con gente distrutta.

gat n’euro?

Eticamente ineccepibile, ma molti si riforniscono lo stesso nei locali a fianco.
Certo, ma il giro cambia un bel po’. Mettiamo che quattro ragazzi vogliano ubriacarsi e gli altri locali sono pieni, allora si siedono qui, urlano e fanno casino. Invece così vengono per mangiare ma sono meno stimolati a restare… Vorrei che rimanesse una piccola oasi di tranquillità.

Cosa ti mancherà?
La notte non mi mancherà: alla mia età tornare sempre tardi sapendo di dover rifare la stessa cosa domani è pesante. Mi mancherà una città civile come Ferrara, il rispetto e l’educazione, al limite dell’apatia. Qui si vive bene, la gente non è invadente e per chi viene dal sud non è scontato. Spiacerà soprattutto il rapporto instaurato con il pubblico, come un attore finisci per temere il momento in cui i riflettori si spengono e tutti si dimenticano di te.

Non ci dimenticheremos, promessos.
Mi ha fregato questa cosa che molti clienti si sono affezionati a me, all’inossidabile collaboratrice Filofteia e ai ragazzi che lavorano con noi, più che al posto, non mi aspettavo dicessero dispiaciuti: fateci sapere dove riaprite che verremo a trovarvi!

una cosa semplisce