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L’informazione locale in molte città di provincia consiste in un quotidiano cartaceo con alle spalle qualche gruppo editoriale, un quotidiano online appartenente a questo o quel network di informazione e quando va bene una tv regionale con qualche ufficio in loco da usare all’occorrenza. Nonostante le sue dimensioni Ferrara potrebbe sembrare un’isola felice in tal senso: i quotidiani cartacei sono due ormai dal 1989, una televisione ha sede in città da ancora prima e online abbiamo assistito negli anni ad un fiorire di testate e magazine che portano avanti un’idea di informazione di settore o generalista grazie alle potenzialità della rete.
Ad arrivare per primo in quest’ultimo mercato, ancora poco conosciuto dalle nostre parti, è stato senza dubbio Estense.com, quotidiano online che racconta dal 2005 Ferrara e la sua provincia, spaziando dalla cronaca alla politica, dallo sport allo spettacolo. Per molti oggi rappresenta l’informazione locale più completa, il punto di riferimento per conoscere quanto succede in tempo reale. Libero da vincoli di spazio e di padroni, si è negli anni affermato per la completezza dei fatti riportati, per l’autonomia nel portare avanti inchieste documentate con precisione e per la critica puntigliosa al mondo politico. Se quindici anni possono sembrare pochi in altri contesti, vi basti pensare che nel 2005 eravamo agli albori di Youtube, la maggioranza delle famiglie italiane non aveva accesso alla banda larga, i social network in Italia non esistevano e un quotidiano come il Corriere della Sera vendeva 590.000 copie contro le attuali 180.000 (dati ADS, aprile 2020).
In quei giorni Marco Zavagli, attuale direttore di Estense.com, si siede attorno a un tavolo con un paio di amici “smanettoni”, uno dei quali nel frattempo è diventato piuttosto famoso.
Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo, diceva Gino Paoli.
Effettivamente Estense.com è un progetto nato a tavolino, nel vero senso della parola, ma gli amici intorno al tavolino di un bar erano tre. Parliamo della primavera del 2005, un amico comune mi presentò Riccardo Scandellari, un informatico che aveva già un sito internet con quel nome, ma lo aveva usato come semplice aggregatore di notizie estrapolate da altri giornali. In pochi giorni sbrigai le pratiche presso il tribunale e incominciammo ad arricchire di contenuti quel piccolo preludio alla testata che conosciamo. Ricordo il numero dei lettori del primo giorno on line: eravamo 37. Uso la prima persona plurale perché in quel conteggio eravamo compresi anche noi tre.
Chi era il terzo?
Paolo Schiavi, comune amico che diventerà “suo malgrado” editore nel primo periodo.
Cosa si proponeva di essere Estense.com rispetto al panorama dell’informazione locale?
L’idea di fondo partiva dal presupposto che il diritto all’informazione fosse un bene primario. E come tale dovesse essere accessibile a tutti. Da qui la gratuità delle nostre pagine, che siamo riusciti a mantenere senza mai – sottolineo mai – chiedere contributi pubblici o aiuti a lobby politiche o imprenditoriali.
Ti avrebbe fatto sentire meno libero?
Più che meno libero forse direi meno indipendente. Sembrano sinonimi libertà e indipendenza, ma non lo sono. Montanelli si sentiva libero sotto l’editore Berlusconi. Non credo fosse indipendente, tant’è che per diventarlo ha dovuto fondare la Voce. Quanto a Estense.com e i contributi pubblici, l’idea di fondo, che mi rendo conto sfiori l’utopia, è che un prodotto se è apprezzato ottiene automaticamente un riscontro anche a livello di visibilità e, di conseguenza, di opportunità per gli inserzionisti. Mi sembra evidente che davanti a crisi imponenti come quella legata all’emergenza Covid e soprattutto alle fasi successive questa aspirazione si scontri con la realtà dei fatti.
Sei soddisfatto di come è diventato?
Sulla bontà del prodotto editoriale giudicheranno altri. Posso solo dire, senza nascondere un pizzico di orgoglio, che quei 37 lettori sono ormai diventati almeno 50mila ogni giorno, con punte di oltre 100mila in concomitanza con eventi eccezionali (vedi crisi da Coronavirus). I suoi punti di forza sono la completezza, la velocità di preparazione e pubblicazione delle notizie e soprattutto il coraggio e l’indipendenza. In più di una occasione siamo stati gli unici a scrivere certe notizie e, ahinoi, a subirne le conseguenze.
In cosa potrebbe migliorare?
Sicuramente nella veste grafica. Mi piacerebbe un formato che riuscisse a ricordare il “vecchio” quotidiano cartaceo e fosse allo stesso tempo moderno e agile in termini di fruizione.
Da cosa si parte per diventare il primo quotidiano online della provincia?
Le risorse, umane e soprattutto economiche, erano ridotte ai minimi termini e all’inizio eravamo una sorta di Armata Brancaleone alle crociate della cronaca locale. La periodicità è stata settimanale per alcuni mesi. In breve tempo si sono aggiunti collaboratori che scrivevano guidati da una passione che faceva perdonare qualche pecca da naiv della materia: ero costretto a scrivere la quasi totalità del giornale. Un prodotto allora poco conosciuto che non poteva dare ritorni economici… Io avevo le mie collaborazioni con altri quotidiani locali e nazionali, agenzie di stampe e televisioni. E così i primi tempi passarono tra notti di veglia su quelle pagine telematiche. Per capire il lavoro, forse vale la pena dire il sacrificio, basti pensare che per quasi dieci anni non ho fatto un giorno intero di vacanza. Feste comandate comprese.
Andiamo ancora più indietro: gli studi?
Sono stato un pigro studente di giurisprudenza. La materia (che mi è tornata utile in questo lavoro) non mi appassionava. Per tenermi incollato al banco mi portavo sempre un volume di poesia o un romanzo, da alternare con le sudate carte del diritto.
Un po’ Attimo fuggente. E poi la famosa gavetta?
Di lavori ne ho fatti tanti prima di diventare giornalista a tempo pieno. In Svezia, durante l’Erasmus, lavoravo nella cucina di un pub. In Norvegia ho fatto il muratore in un cantiere che stava costruendo una scuola (posso dire di aver contribuito allo sviluppo dell’istruzione scandinava!). Un paio di estati ho raccolto frutta nelle campagne di Cassana. Dopo la laurea ho lavorato in fabbrica nella Fleur (oggi Servizi Ospedalieri), operaio addetto alla cernita. Un caldo infernale che ti faceva contare le frazioni di secondo che mancavano alla campanella liberatoria. Di quel periodo conservo ancora care amicizie.
Per aspera ad astra.
Più che Astra in seguito ho fatto il portiere di notte all’hotel Ripagrande. Di giorno lavoravo gratuitamente nell’ufficio stampa del proprietario e di notte vegliavo i suoi ospiti in albergo. Un periodo che mi ha permesso di terminare un master in giornalismo e, soprattutto, di leggere il Don Chisciotte di Cervantes. Permettimi un aneddoto.
Ci mancherebbe.
Quell’estate vennero a Ferrara i Têtes de Bois, un gruppo che nel loro ultimo album riproponeva canzoni di Leo Ferrè e poesie di Rimbaud. Dormivano al Ripagrande. Terminati concerto e serata arrivarono alla reception: li riconobbi, riposi il Chisciotte e chiesi curioso informazioni sul repertorio dello chansonnier francese. Uno di loro sorrise: “ma pensa te, un portiere di notte che ascolta Ferrè e legge Cervantes”. Non acquistai il loro disco.
Il giornalismo è una vita fatta di sacrificio ma scarsa remunerazione, così molti finiscono a fare anche altri lavori per arrotondare. Lavorare ad un giornale non meriterebbe una retribuzione più nobile? Di chi è la colpa?
La strada del giornalismo ormai è diventata una missione. Il panorama è incancrenito in clientelarismo, raccomandazioni e sfruttamento. Il problema è che leggere e informarsi non ha mercato. Il giornalismo non paga. Chi vi investe spesso lo fa per tornaconti politici o di potere. Di conseguenza, non essendoci forti introiti, a cascata non ci possono essere adeguate remunerazioni.
Anche da voi?
Nel nostro piccolo dei passi in avanti verso un equo compenso li abbiamo fatti. A livello locale forse siamo il quotidiano che paga di più i “pezzi” dei collaboratori. Gli unici sicuramente (forse a livello nazionale) a pagare anche gli articoli non pubblicati. Qualche anno fa abbiamo aumentato, di pochissimo, la retribuzione degli articoli senza che nessuno ce lo chiedesse, solo in virtù di un senso etico della professione. In questi ultimi mesi stiamo soffrendo molto la crisi e speriamo di mantenere quanto fatto fino ad oggi.
Estense.com ha da sempre una ricca e variegata raccolta pubblicitaria, seguendo un modello di business molto classico dove la pubblicità copre la stragrande maggioranza dei costi. Nel 2020 è ancora un modello sostenibile?
Purtroppo non sono mai stato capace di avere validi approcci imprenditoriali. È un mio limite. Per questo non riesco a rispondere adeguatamente alla tua domanda. Credo che dovremo variare le offerte, per non dover basare l’intero reddito unicamente sulla vendita di spazi banner. Come farlo non lo so, accetto volentieri suggerimenti.
Poi ci si è messo anche il Covid e avete lanciato una raccolta fondi straordinaria tra i lettori. Come sta andando?
Stiamo ottenendo riscontri positivi. Tanti mi chiamano direttamente per sapere qual è il livello di difficoltà che stiamo attraversando. Teniamo conto che ci sono raccolte fondi anche per la protezione civile e per l’emergenza in Kenya. Ubi maior minor cessat…
Pensi che funzionerebbe un paywall per un quotidiano locale? O una forma di abbonamento a servizi extra come fanno altri quotidiani online?
Francamente sono abbastanza ottuso su questi argomenti. Mi piacerebbe poter fornire servizi extra. Ma per realizzarli servono risorse, economiche e umane, che in questo momento non possiamo permetterci.
Di cosa si occupa Scoop Media Edit, la cooperativa editrice di Estense.com?
Scoop nasce nel 2008 in maniera del tutto indipendente da Estense.com. Sin dalla sua fondazione come cooperativa giornalistica il presidente è stato Mauro Alvoni, socio collega e amico. Aveva altri “clienti” ma a lungo andare la crescita del giornale ha reso necessario un impegno totalmente dedicato.
Negli anni siete stati spesso al centro del dibattito politico, tacciati di essere vicino (oppure ostili) a questo o quel partito, a quel movimento o quell’amministrazione. Questo atteggiamento ha danneggiato in qualche modo l’immagine del giornale o l’ha rafforzata perché ne ha certificato pubblicamente l’indipendenza?
Hai presente L’Avvelenata di Guccini? Ecco, diciamo che negli anni ci siamo sentiti dare dei comunisti, dei grillini, dei leghisti, dei fascisti. Non so dire se questo ci ha danneggiato o rafforzato. Credo che dovrebbe essere la norma essere indipendenti, che non vuol dire essere obiettivi. Se un amministratore mente ai cittadini, compie degli illeciti, sperpera denaro pubblico io non sono obiettivo. Tutt’altro, sono parziale, molto parziale. Parteggio per il bene pubblico e la buona amministrazione. Questo non piace e ci pone nel mirino del potente di turno e dei suoi scagnozzi. Pazienza, sopportiamo in attesa che il mondo cambi. Speriamo in meglio.
Il momento più duro?
Ce ne sono stati diversi. Penso al caso Aldrovandi e allo scontro con parte della questura di allora. Penso ai boicottaggi dei sindacalisti di Carife quando iniziò la crisi della banca. Penso alla censura del comando provinciale dell’Arma dopo un nostro editoriale sulle gestione del caso Igor. Penso allo shitstorming della Lega, lanciato dal vicesindaco Nicola Lodi e dal portavoce del sindaco Michele Lecci e, scoprimmo in seguito, avvallato dallo stesso sindaco Alan Fabbri. Penso alle fake news lanciate sul mio conto su pagine social affini alla Lega. Su quest’ultima questione aspetto che la giustizia faccia il suo corso. In tribunale pendono ancora diverse querele.
Sono stati anni di inchieste coraggiose, di fallimenti importanti, cambi di amministrazione, successi sportivi ed eventi tragici. Quale è stata la notizia più difficile da dare?
La morte di Luca Celiani, operaio di 32 anni sepolto vivo nel silos dello stabilimento Sfir di Pontelagoscuro nell’aprile del 2008. Ero lì, a intervistare l’allora sindaco Sateriale, durante le disperate operazioni di salvataggio. Ma quel corpo non uscì vivo dalla tomba di zucchero.
Quella più bella?
La nascita di Michael, il “figlio delle barricate”, un bimbo che nacque dopo quello stupro di civiltà che sono state le proteste di Gorino.
I commenti di Estense sono stati forse la caratteristica del giornale che più lo ha reso popolare specialmente negli anni passati, coltivando l’ego di molti leoni da tastiera. Oggi sono sottoposti a registrazione e moderazione ma portano valore aggiunto al dibattito o si riducono ad un muro contro muro tra persone che non arretrano di un millimetro dalle proprie idee?
I commenti, il loro tenore, rappresentano un mio personale fallimento. All’inizio credevo che si potesse istruire i lettori – rectius, certi lettori – al confronto, al dialogo, in una parola alla democrazia. Ma così non è stato. Ora gran parte dei contributi sono diventati preda di gruppi organizzati che cercano di ingabbiare, condizionare o pilotare il pensiero dei lettori. Prova ne è il fatto – e qui regalo una piccola esclusiva a Filo – che nelle chat della Lega che abbiamo in parte pubblicato si apprende di come i militanti presidiassero i commenti sul giornale. “Stiamo lasciando estense.com nelle mani dei commentatori di sinistra – riporto il virgolettato -, che ora dominano nettamente per numero commenti e like. Siamo sicuri che sia la strategia giusta? È pur sempre il principale giornale online cittadino…”.
La vulgata dice che più commenti si fanno, più la gente litiga cliccando compulsivamente facendo guadagnare il giornale, da qui il vostro interesse a lasciar pascolare per anni i troll tra le pieghe del proprio giornale. Funziona davvero così?
In realtà quando abbiamo creato regole più stringenti per i commentatori, oscurando anche la sezione relativa, che ora puoi aprire in modo non automatico, il numero di lettori è notevolmente cresciuto. L’intento, mi ripeto, era creare un ulteriore spazio di confronto. E di difenderlo, anche a costo di arrecarci dei danni. Chiarisco con un esempio: qualche anno fa imperversava sul sito un commentatore particolarmente critico verso i vertici di una categoria imprenditoriale. Quei vertici mi chiesero di rimuovere i commenti, altrimenti avrebbero caldamente consigliato a tutti gli imprenditori loro iscritti di non fare pubblicità sul giornale. Quei commenti rimasero.
Fare il giornalista locale, cercando di non prendere neanche un buco su quasi ogni argomento, è compatibile con l’avere una vita privata, degli orari e dei momenti disconnessi dal mondo per riposarsi o dedicarsi ai propri affetti?
Diciamo che ultimamente facevo troppe ore in redazione e bevevo troppi caffè. Il fisico mi sta dicendo che devo allentare un po’ la corda. Ultimamente devo badare anche alla mia salute, ai miei figli e alla mia compagna.
L’informazione locale è fatta in larga parte di comunicati stampa che arrivano ogni giorno uguali a tutte le redazioni: ognuno di questi viene preso, sistemato, riscritto in parte. Non sarebbe meglio lasciare in carico a chi la produce l’informazione preconfezionata per dedicare la maggior parte del tempo ad approfondimenti, inchieste, interviste, facendo solo quel tipo di giornalismo più nobile?
Dipende da ogni situazione. Un comunicato stampa può essere uguale per chi lo invia e diverso per chi lo riceve. Una impaginazione, un titolo, un avverbio posso cambiare del tutto il contesto. Da un comunicato stampa preconfezionato, inoltre, può nascere un’inchiesta. Un altro esempio: qualche anno, nel novembre 2016, fa l’amministrazione Tagliani inviò alle redazioni una nota in cui si scriveva che l’Autority anti-corruzione approvava gli affidamenti diretti alla cooperativa Camelot. Cercammo il documento originale dell’Anac e, unici tra i media, pubblicammo quello che diceva in realtà, sbugiardando il Comune.
Perché in questi anni non è mai nato a Ferrara un giornale online generalista che fosse davvero concorrenziale ad Estense.com?
Non è impresa facile. Dietro ci sono tanti sacrifici e tanti bocconi amari da mandare giù.
Non temi l’informazione dal basso, quella delle dirette Facebook, del ragazzino che accende il cellulare e arriva peggio ma prima dei media tradizionali? O i social che tendono a far circolare fake news tra siti civetta e amici? Come vacciniamo le generazioni future?
Il rimedio, il vaccino, è l’istruzione. Parto da lontano. Parlo dell’istruzione pubblica, della scuola. Lo Stato deve tornare a investire massicciamente sull’insegnamento e sulle strutture di insegnamento. Solo così si creeranno docenti motivati, studenti capaci, cittadini più consapevoli.