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Riccardo Muti sale sul podio rosso del Teatro Comunale esattamente cent’anni dopo il maestro Arturo Toscanini, è la sua prima volta a Ferrara in un sabato sera che è anche coda di un’estate un po’ anomala. Fuori parcheggi e ristoranti pieni, dentro con il dovuto distanziamento anche il teatro fa registrare il tutto esaurito con un pubblico emozionato, nonostante la difficoltà di assistere allo spettacolo con la mascherina indosso.
C’è un gran bisogno di ripartire, recuperare il tempo perduto e celebrare ogni momento che un tempo pareva normale come un nuovo inizio. Così questa serata con un ospite d’eccezione, un nome conosciuto anche ai non addetti ai lavori così amato dal pubblico italiano, avvia simbolicamente la stagione del Teatro Comunale, che appena due giorni fa ha dato il via al cartellone di Danza, cui faranno seguito Musica e Prosa dalle prossime settimane.
Il direttore d’orchestra napoletano ha proposto un repertorio che unisce l’Italia all’America di inizio Novecento: nella prima parte il Notturno op. 70 di Giuseppe Martucci è un brano morbido e delizioso che apre la serata con aria sognante, seguito dalla Serenatina di Marco Enrico Bossi, tratta da Intermezzi Goldoniani op. 127. Prima del terzo brano Muti contestualizza il brusco cambio di stile musicale, accolto male dalla critica ai tempi della sua prima esecuzione pubblica: la Berceuse élégiaque op. 42 di Ferruccio Busoni è un brano privo di una chiara tonalità, composto in memoria della madre appena scomparsa, inseguendo un sentimento cupo e a tratti dissonante, precursore della musica dodecafonica. Se non venne capito nel 1911 oggi appare un brano incredibilmente contemporaneo, simile per sonorità a molte colonne sonore dai toni drammatici che hanno accompagnato il cinema del primo dopoguerra.
Tutti e tre i compositori italiani appena citati hanno diretto il Liceo Musicale di Bologna agli inizi del Novecento, e sono stati soprattutto al centro dell’ultimo concerto che il compositore Gustav Mahler ha organizzato nella sua vita. Nel 1911 alla Carnegie Hall di New York volle rendere omaggio alla “Scuola nazionale italiana” alla presenza in sala proprio di quell’Arturo Toscanini che passò un secolo fa nel capoluogo estense.
Nel gioco dei rimandi, sempre alla Carnegie Hall venne presentata pochi anni prima (1893) la fortunata Sinfonia n. 9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo” di Antonin Dvorak. Muti la propone in chiusura del programma della serata ferrarese, dirigendo con passione un’orchestra impeccabile, tanto da strappare un applauso e qualche ovazione di troppo perfino dopo il primo movimento.
Sono loro il “futuro di un’Italia matrigna”, spiega ringraziando i giovani musicisti dell’Orchestra giovanile Cherubini al termine del concerto, con un piccolo discorso tra l’amaro e il divertente.
“Avremmo bisogno di almeno venti nuove orchestre in Italia – racconta Muti – in Germania ne è nata una in ogni paese, negli Stati Uniti sono oltre ottocento. Suonare in orchestra ormai è diventata una vera e propria missione di conservazione della cultura, che andrebbe sostenuta e incoraggiata, eppure in televisione i concerti passano solo in piena notte, per la gente insonne. Fino a che sarò in vita mi batterò perché rimanga viva la cultura del suonare in orchestra: mi sto segnando chi ha remato contro in questi anni, sappiano che li visiterò nei sogni pure da morto. E io di notte faccio paura!”