13 Gennaio 2021

Il segreto della Casa del Boia

Torna agli Articoli

In fondo a corso Ercole I d’Este abitava il Boia. Lo sapevano tutti ma non se ne parlava in giro volentieri perché quell’appellativo a lui non era mai andato molto giù. Eppure il suo era un lavoro come un altro, che svolgeva con la massima solerzia a fianco della vecchia Porta degli Angeli, dove viveva con la moglie e il figlio. Al tempo degli Estensi la Porta rappresentava il varco nelle mura verso nord, a chiudere quella via degli Angeli che correva dritta dal Castello, ingresso prestigioso in città per Re, Duchi e altre persone importanti.

Non si poteva chiamarlo in modo diverso il Boia, perché il suo nome di battesimo era Biagio, così quando qualcuno parlava ad esempio del celebre architetto Rossetti, finiva per nascere qualche malinteso:

– Qui si vede l’estro e il genio di Biagio!
E ogni volta puntualmente qualcuno chiedeva:
– Ma chi, il boia?

Non è che in tanti si chiamassero così a quel tempo, quindi lui stesso ci aveva un po’ rinunciato a malincuore: chiamatemi Boia, in fondo è il mio lavoro.

In ogni caso il Boia era una brava persona: si alzava molto presto al mattino e lavorava fino a dopo il tramonto, la moglie si occupava di tenere in ordine quella casa un tempo tanto prestigiosa e il figlio giocava nei dintorni della mura con i pochi amici che riuscivano a vincere la diffidenza.

Non vi tragga in inganno il soprannome, Biagio non avrebbe torto un capello a nessuno: il suo compito era macellare gli animali e attendere che arrivasse il carro ogni giorno a portare via la carne a fine giornata. Certo tutte quelle urla e quel sangue non erano il massimo dell’eleganza per la gente che passava da quelle parti a passeggiare (all’epoca non avevano ancora inventato la corsetta serale sulle mura) ma il suo ruolo era così importante nell’economia locale che tutti lo salutavano con rispetto e riverenza.

Gli abitanti della zona conoscevano bene le abitudini del Boia, che conducendo una vita dedita al lavoro non si concedeva spesso momenti di svago e nemmeno una passeggiata oltre il suo cortile, se non in rare occasioni nei giorni di festa comandati, quando indossava l’abito buono per arrivare addirittura fino in piazza con la famiglia per fare colazione.

Nonostante ciò, ogni primo sabato del mese si poteva notare un certo via vai di gente entrare nella casa del Boia. I vicini all’inizio pensarono a delle normali cene o a qualche festicciola tra amici, ma si accorsero ben presto che entravano ogni volta almeno cinquanta o sessanta persone e sicuro non potevano starci stipate tutte dentro casa. La cosa più strana poi è che nessuno aveva mai visto uno solo degli ospiti uscire. Arrivavano verso ora di cena tutti vestiti eleganti e dall’interno della casa non si sentiva più volare una mosca.

Uno dei più sospettosi – forse anche un po’ invidioso per non essere mai stato invitato – era senz’altro Rimondi, del civico 21, poco più avanti, doveva viveva solo da quando era morta l’anziana madre. Una sera attese alla finestra fino all’alba per vedere cosa succedeva, ma non vide muoversi una foglia. Visto che tanti mormoravano e nessuno sapeva niente, il primo sabato di ottobre Rimondi indossò un paio di occhiali finti e dei baffi posticci per non farsi riconoscere. Attese il passaggio di un gruppetto di signori diretti alla casa del Boia e si accodò a loro per entrare. Una volta dentro la moglie del boia Biagio li salutò cordialmente indicando un’angusta scaletta in fondo alla stanza, che gli altri sembravano già conoscere bene. Scesero tutti insieme ed entrarono in una specie di tunnel sotterraneo.

Ogni qualche metro una torcia accesa in terra illuminava il percorso tra ratti, umidità e puzza di fogna. Era stato senz’altro scavato in clandestinità, non c’erano sbocchi per far passare aria o luce, e il percorso sembrava perfettamente diritto, quasi seguisse una via o una vecchia fognatura. Le signore stavano attente a non sporcare il vestito, alcuni allungavano il passo per rimanere sotto meno tempo possibile. Per Rimondi che soffriva un po’ di claustrofobia fu un vero inferno ma lo stupore di sbucare infine all’interno del Castello Estense lo ripagò di ogni fatica.

All’ingresso servitori e damigelle in costume gli diedero il benvenuto alla festa, nonostante non risultasse in lista. Il problema degli imbucati era già molto sentito all’epoca ma era complicato rimandare indietro gente che si era fatta tutti quei metri al buio sottoterra solo per esserci.
A Rimondi vennero offerti un drink di colore rosso, un bigliettino per il guardaroba e un buono sconto per l’emporio in centro, oltre naturalmente a qualcosa da mettere sotto i denti, che oggi definiremmo finger food. Alle pareti drappi dorati, specchi, luci di ogni colore, ornavano quella che probabilmente doveva essere una sala da ballo estense, recuperata per l’occasione. C’era un sacco di bella gente, tutti sembravano divertirsi un sacco, ma Rimondi non riconobbe nessuno.

Biagio, il riservatissimo Boia che di giorno lavorava alacremente e non parlava quasi con nessuno, era irriconoscibile. Doppio petto, capelli pettinati e impomatati, fiore rosso all’occhiello, dispensava sorrisi agli invitati fingendo di conoscere chiunque. Si avvicinava ad un gruppo con una battuta salace, esibiva stupore per i vestiti di ogni ragazza, discorreva di politica, di economia e perfino di cucina. Da quando aveva convinto l’amico custode ad aprirgli ogni tanto le porte del Castello per questi eventi mondani segreti, il passaparola aveva fatto il suo dovere e ormai si presentavano persone a lui del tutto sconosciute. Tipo il suo vicino, con cui non era mai andato oltre il buongiorno e buonasera.

– Rimondi, che piacere vederla qui, non la facevo da eventi mondani! – lo salutò Biagio
– Veramente – arrossì imbarazzato Rimondi – non mi aveva mai invitato, a saperlo prima…

Una donna sorridente si avvicinò e prese Rimondi per mano, coinvolgendolo in una danza sfrenata. Non raccontò mai a nessuno come andò il resto della serata e di come si ritrovò a vagare al mattino in piazza delle Erbe solo e ancora su di giri. I suoi ricordi sull’accaduto rimasero annebbiati come una sera d’autunno nella bassa emiliana. Nei mesi a venire partecipò diverse altre volte alle feste segrete del Boia, che proseguirono sempre più elaborate e partecipate per alcuni anni.

Qualche tempo dopo, al funerale del laborioso e generoso boia Biagio si radunarono in centinaia. Fuori dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli erano talmente tanti a stringersi intorno alla vedova e al figlio che quasi non si riusciva a passare.
I vicini alle finestre osservavano il corteo stupiti. Non immaginavano che la scomparsa di quell’uomo schivo tutto casa e lavoro lasciasse nello sconforto così tanta gente. Rimondi arrivò un po’ tardi, il passo incerto, il volto nascosto dietro ad occhiali scuri per nascondere la commozione. Si fece largo timidamente tra la folla con la moglie Arianna, per portare un fiore e salutare un’ultima volta quel tipo strano, che una sera d’autunno gli fece incontrare, del tutto per caso, l’amore della sua vita.