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Percorrendo la lunga via Saraceno, lasciandosi alle spalle il ghetto ebraico e le vetrine di via Mazzini, è un attimo ritrovarsi in quel dedalo di viuzze del Castrum medievale che raccontano la Ferrara primordiale e affascinano i turisti diretti a Schifanoia. Lungo questo percorso un piccolo slargo ci prepara alla leggera salita di Porta San Pietro, con una doppia curva su cui affacciava (oltre che la pizzeria Orsucci!) lo storico Bar Tripoli, quando nel 1943 Luchino Visconti scelse Ferrara come set del suo film Ossessione. Quell’angolo con Vicolo del Galletto ha poi visto avvicendarsi attività e saracinesche fino al 2008, quando ha infine incrociato le vite di Saro e Beatrice, che hanno portato qui la loro cucina fatta “con le mani e con il cuore”.
Difficile spiegare a parole la proposta culinaria dalla Trattoria Il Sorpasso perché è un melting pot di culture e sapori, in continuo equilibrio tra sperimentazione e tradizione. A mangiare qui ci si torna spesso per affetto, perché il cibo è buono e ci si sente a casa, ma anche per l’ospitalità di questa coppia che nel 1990 si è incontrata da queste parti e ha deciso di non ripartire più. Non un ristorante tradizionale dunque, seppure proponga sulla carta anche i piatti tipici della nostra città, e includa da molti anni nello staff una sfoglina che produce pasta fatta a mano. “Prima di essere ristoratori siamo stati buoni mangiatori, osservatori e clienti esigenti di ristoranti”, racconta Saro, che deve la sua formazione ai fornelli proprio ad un’attenta collaborazione con gli chef che lo hanno preceduto in cucina, dai quali ha carpito segreti e ricette. In tavola porta un po’ della sua terra siciliana, della Messina dove è cresciuto in una famiglia matriarcale che da subito lo ha educato ad abbinare gusti e profumi della tradizione. Proporre quel tipo di cucina così lontano da casa e da certe materie prime “sarebbe improponibile” e quindi oggi si occupa più volentieri della cantina, con un’ampia selezione di vini naturali che la trattoria propone, “meno perfetti di quelli industriali ma con più vita e certo più salubri.” Saro si premura anche di fare un prezioso lavoro di sottrazione, per alleggerire le proposte che porta in tavola e non appesantire stomaco e intestino, alla larga da prodotti come margarina e oli di semi vari, ricercando qualità nelle materie prime.
Beatrice invece viene da Adria, qui è arrivata come molti per studiare Giurisprudenza, proprio come Saro, che una sera le offrì un passaggio per tornare a casa al Barco, dove entrambi vivevano con altri studenti fuori sede. “Dovevo capirlo che mi avrebbe messo sotto a lavorare con lui da subito – racconta ridendo: dopo l’Università mise in piedi una cooperativa per mettere a sistema tutti quei lavoretti che gli studenti possono svolgere per arrotondare e mantenersi durante gli studi. Per scrivere lo statuto gli serviva qualcuno che battesse bene a macchina e così mi ha chiamato con questa scusa, ma è stato solo l’inizio…”
Con quella cooperativa organizzarono eventi, buffet e catering, e come sempre da cosa nasce cosa e con un gruppo di amici ecco aprire il primo ristorante nel 1996, rilevando l’antica trattoria Occhiali, in corso Porta Mare, dove oggi ha sede una Guest house. Il nome? Ovviamente omaggio al capolavoro di Dino Risi ma anche una dichiarazione d’amore per il cinema in generale.
All’inizio doveva essere un mestiere da affiancare al resto, ma avere un ristorante si rivelò ben presto un’attività totalizzante, con le preoccupazioni dei primi bilanci faticosi e dei primi anni in salita per far girare bene la macchina. Qualche socio abbandonò in fretta spaventato, i cuochi si avvicendarono. “Il primo cuoco andò via dopo appena due mesi, dopo aver ordinato cinque milioni di vodka alla banana che nessuno ha mai più bevuto! – racconta divertito Saro -. Abbiamo capito che avremmo dovuto rimboccarci le maniche ed essere meno in balia di collaboratori volanti, così abbiamo studiato e imparato a seguire la filiera per trovare le giuste materie prime. Dai cuochi di varie nazionalità con cui avevamo lavorato abbiamo ripescato ricette di ogni parte del mondo e ci siamo confrontati con chef locali, come Pierluigi Di Diego, Grazia Soncini, Athos Migliari e molti altri con cui oggi c’è un rapporto di amicizia e fiducia reciproca, in continuo scambio di idee su prodotti, tecniche…”
La vecchia trattoria in Porta Mare era fatta in modo del tutto particolare: operativa fin dagli Anni ’50, aveva un bar e un campo da bocce sul retro, in un cortile coperto. All’ingresso c’era un tunnel lungo per arrivare alla sala con i campi e in fondo a quello, in una casa a parte, le cucine. Nel 2008 Saro e Beatrice colsero l’opportunità di avvicinarsi al centro, aprendo in via Saraceno, cambiando un po’ anche il tipo di clientela che era solita fermarsi, prima fatta di lavoratori di passaggio e molti pranzi di lavoro.
Il locale che accoglie oggi i clienti è allestito in modo del tutto originale e fuori dagli schemi: non ha arredi moderni frutto del lavoro di qualche designer, nemmeno è la classica trattoria di una volta con la tovaglia a quadrettini sui tavoli e le sedie di legno impagliate, piuttosto un mix di ricordi di viaggio, e oggetti cari a Beatrice e Saro. In fondo è un po’ la loro casa, dove trascorrono la maggior parte del tempo e dove esprimono la loro personalità nei dettagli in cucina così come in sala. Ci sono le sedie che raccontano l’Orlando Furioso, decorate da una delle prime cameriere, oggi tatuatrice a Milano. Ci sono le tende di Pascucci, uno dei più antichi stampatori romagnoli, quelle che si affacciano su Vicolo del Galletto sono disegnate addirittura da Tonino Guerra. Ci sono i bicchieri in vetro di Murano, i “goti ubriachi” uno diverso dall’altro, sghembi e colorati come solo un mastro vetraio può creare dopo qualche ombretta di troppo. E che dire delle piastrelline di ceramica decorate da artigiani marchigiani e siciliani, inserite negli scassi dei tavoli? In uno di questi dove non sono state mai incollate qualcuno ha iniziato per gioco a inserire dei bigliettini con messaggi e saluti. “Certa gente tornava l’anno dopo e cercava il suo bigliettino, per vedere se c’era ancora – spiega Beatrice – ma ogni tanto dobbiamo rimuoverli perché sono troppi. Ne abbiamo tenuto un bustone pieno a casa, ma con il Covid abbiamo dovuto proprio togliere quel tavolo per ovvie ragioni.”
Covid che prende e Covid che dà: in assenza di uno spazio esterno vero e proprio è notizia di pochi giorni fa che il Sorpasso ha trovato un suo “estivo” nella suggestiva cornice di Palazzo Crema, sede della Fondazione Estense in via Cairoli.
Saro è emozionato per questa ripartenza: “In mancanza di altri eventi da ospitare a breve nel cortile, BPER che ne è proprietaria ha accettato la nostra proposta di rivitalizzare il luogo per tutta l’estate fino al festival di Internazionale, che pure userà lo spazio per alcuni incontri con i giornalisti. In settembre invece lo spazio ospiterà le interviste ai finalisti del Premio Estense. Abbiamo adattato una cucina e trasferito tutto il ristorante qui, anche a pranzo. C’è un’atmosfera di rilassatezza incredibile, i suoni ovattati e gli spazi ampi sono perfetti di questi tempi, il problema semmai sarà mandare via la gente a tarda sera”.
Più che una novità quasi un ritorno alle origini: il Sorpasso aveva in gestione le prime due edizioni della mitica Buskers House: tra il 1998 e il 1999 quando gli artisti staccavano dagli spettacoli in centro potevano trovare una cucina aperta fino a tardi proprio nel cortile di Palazzo Crema, rifocillandosi e dando vita a meravigliose jam session aperte al pubblico. Come ogni cosa bella durò poco, per problemi di sicurezza e sovraffollamento, finendo per essere riproposta nel Sottomura in modo meno spontaneo.
Ma il segreto del successo di questo luogo qual è?
“Molti ci dicono di sentirsi a casa, e nel periodo di lockdown è stato di grande consolazione, come per noi lo è stato continuare a lavorare nonostante le difficoltà. Abbiamo dato conforto e mostrato che noi c’eravamo, che ci aspettava una luce in fondo al tunnel – spiega Beatrice -. In generale ci fa piacere vedere il bene che ci vogliono i vicini nel quartiere, quando salutiamo tanti amici facendo una passeggiata. Siamo un po’ lontani dai giri turistici quindi capita più spesso di avere a tavola ferraresi che si conoscono e si rincontrano dopo qualche tempo. Con le restrizioni della pandemia a volte è difficile separare persone che si abbracciano e salutano con troppo calore, ma dobbiamo farlo…”
Una città che cambia e cresce negli anni, raccontando un po’ di sé a Saro e Beatrice che sono costretti a restare fino a tardi in sala. “Ferrara ha un centro storico tra i più raccolti che abbia mai visto: tra Medioevo e sprazzi di Rinascimento, ci sono dettagli che ti fanno sentire bene – spiega Saro -. Del clima non ne parliamo ma la vita è tranquilla e venire a piedi al lavoro è impagabile. L’abbiamo vista venire fuori man mano dagli anni Novanta, forse sull’onda del successo di Comacchio e della costa.”
“Peccato viverla poco – si rammarica Beatrice – ma attraverso gli occhi dei nostri clienti è un po’ come esserci ugualmente: passa davvero l’umanità intera in un locale, senza fare troppi sforzi per andare in giro. Certo, fosse per Saro chiuderebbe in piena notte intrattenendosi con alcuni avventori di vecchia data. C’è almeno un’ora e mezza di lavoro da quando mandi via gli ultimi, ma lui è troppo buono e non manderebbe via nessuno nemmeno a tarda notte…”
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INFO:
Trattoria Il Sorpasso
Dal mercoledì alla domenica, presso Spazio Crema, via Cairoli 13
Per info e prenotazioni: Tel. 0532 79 02 89 – Whatsapp 320 67 18 668
https://trattoriailsorpasso.it