9 Novembre 2021

Dentro e fuori dal ghetto: il MEIS completa il racconto della storia ebraica italiana

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Il MEIS ha da pochi giorni inaugurato un nuovo tassello nel suo percorso espositivo, con una mostra di grande pregio, rimandata dallo scorso anno a causa della pandemia: “Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”, a cura di Andreina Contessa, Simonetta Della Seta, Carlotta Ferrara degli Uberti e Sharon Reichel. Aperta fino al maggio 2022 racconta l’esperienza degli ebrei italiani dall’istituzione del primo ghetto italiano, nel 1516 a Venezia, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, poco prima dei tragici avvenimenti della shoah che già sono rappresentati nella mostra permanente “1938: L’umanità negata”.

Il percorso prosegue in effetti la narrazione di altre due mostre temporanee ora condensate nella permanente del MEIS “Ebrei, una storia italiana” per raccontare oltre duemila anni di storia con testimonianze multimediali, opere d’arte, documenti d’archivio, oggetti rituali e di uso quotidiano, tramandati da secoli di famiglia in famiglia che abbracciano religione e società, mostrando l’intreccio tra la cultura italiana e quella ebraica.

Un viaggio dentro e fuori dal ghetto che, attraverso macro e microstoria, si interroga su temi ora più che mai attuali come l’integrazione e l’esclusione dalla società; l’identità di gruppo e quella individuale; la capacità di trovare un “fuori” nel quale evadere nonostante i limiti imposti dal potere e un “dentro” nel quale tornare nei momenti di smarrimento. 

Sebastiano Ricci, Ester davanti ad Assuero (1733)

Ad aprire l’esposizione la tela monumentale di Sebastiano Ricci, proveniente dal Palazzo del Quirinale, che raffigura la biblica eroina Ester al cospetto del re persiano Assuero. L’opera raffigura uno dei personaggi chiave della mostra: Ester tace la sua origine ebraica e sposa il sovrano per salvare il suo popolo in pericolo, diventando così simbolo e punto di riferimento prima per i conversos, gli ebrei spagnoli e portoghesi convertiti forzatamente al cristianesimo, poi nei ghetti italiani, permettendo agli ebrei di sviluppare con lei una narrativa eroica e teatrale. 

Altra figura femminile che viene raccontata in mostra è Sara Copio Sullam, di cui viene esposto il “Manifesto” del 1621. Abitante del ghetto veneziano, Sara si dedicò agli studi di letteratura, musica, storia e filosofia ospitando nella sua casa un vero e proprio cenacolo letterario di cui fecero parte molti intellettuali anche cristiani. 

Come si viveva in precario e costante equilibrio tra dentro e fuori il ghetto? Le sale permettono di sbirciare all’interno delle sinagoghe che, da fuori, non potevano essere riconoscibili in alcun modo, ma dentro erano decorate con tesori artigianali commissionati dalle famiglie più ricche e prestigiose. La tela di Alessandro Magnasco, custodita alla Galleria degli Uffizi e in mostra al MEIS, ci conduce nella sala di una sinagoga (1703): un’opera commissionata dal granduca Ferdinando de’ Medici che fa parte di un dittico assieme a “La Riunione dei quaccheri”. 

A raccontare la vita quotidiana scandita dalle maggiori festività ebraiche è esposta una delle tavole lignee dipinte che servivano a costruire la capanna, Sukkah, in occasione della celebrazione di Sukkot. I pannelli usati per la Sukkahvenivano smontati e rimontati ogni anno con l’avvicinarsi della festa ed è proprio la natura effimera di questi materiali a rendere unica questa opera. 

La festa delle capanne torna poi in un documento che fa da ponte tra il “dentro” del ghetto e il “fuori” della società circostante: l’Editto del cardinal vicario di Roma del 1702, che vietava ai cristiani di unirsi alle celebrazioni di Sukkot, pena il pagamento di una multa di 25 scudi. La testimonianza è fortemente simbolica e rivela che i rapporti tra cristiani ed ebrei, seppur delimitati dalle porte del ghetto, proseguivano ogni giorno. A testimonianza di questo molto interessanti sono anche gli apparati effimeri prodotti dagli ebrei di Roma in occasione del possesso papale, la cerimonia nella quale il pontefice appena eletto sfilava per la città. 

Bozzetto di uno degli apparati effimeri in mostra

A costituire un vero e proprio caso eccezionale nella storia degli ebrei italiani è Livorno, la città senza ghetto: qui i residenti di religione ebraica vivevano liberi grazie al documento promulgato nel 1591 da Ferdinando I, poi divenuto noto come “Livornina”, che garantiva sicurezza e incentivi fiscali ai mercanti ebrei e li esonerava dall’obbligo di indossare segni distintivi; una situazione favorevole che riuscì ad attrarre molti ebrei espulsi un secolo prima dalla Spagna e dal Portogallo. La sua storia è raccontata attraverso le vedute di Giacomo e Antonio Baseggio e gli oggetti e documenti provenienti dalla comunità̀ ebraica locale.

La fine dei ghetti e l’estensione dei diritti agli ebrei si intrecciano indissolubilmente con il lungo percorso che porterà all’Unità d’Italia e alla nascita di una identità̀ nazionale. Fondamentale sarà il ruolo del re di Sardegna Carlo Alberto che firmò l’emancipazione degli ebrei: l’evento è presente in mostra attraverso il “Regio Decreto del 29 marzo 1848 con la quale si ammettono tutti gli israeliti a godere di tutti i diritti civili” e da una stampa celebrativa del 1849 conservata dal Museo d’Arte e Storia Antica Ebraica di Casale Monferrato. 

L’entrata in società e l’apertura dei ghetti porta infine una nuova impellente necessità di auto-rappresentazione: inizia la progettazione di sinagoghe monumentali, le cui cupole svettano fiere della propria identità ebraica e italiana. Si costruisce a Roma, come si vede da “Ricordi di Architettura”, Concorso per un Tempio Israelitico, ma anche a Torino, con un progetto poi abbandonato che diventerà la Mole Antonelliana.

Il rapimento di Edgardo Mortara, Moritz Daniel Oppenheim, 1862

Mentre gli ebrei italiani iniziano ad integrarsi, un caso sconvolge però l’opinione pubblica: il rapimento del bambino ebreo Edgardo Mortara nel 1858, prelevato dalla polizia dello Stato Pontificio e convertito. In mostra è eccezionalmente presente il quadro “Il rapimento di Edgardo Mortara” di Moritz Daniel Oppenheim (1862), perduto per circa centocinquanta anni e riscoperto nel 2013, ottenuto qui in esclusiva in seguito a lunghe trattative private ed esposto insieme ai documenti dell’Archivio eredi famiglia Alberto Mortara. 

Aron Ha-Qodesh, porta a due battenti, fine del XVIII-inizio del XIX secolo

Proseguendo la visita si arriva nell’ultima parte che riproduce in un lungo corridoio quasi il ventre della balena di Jona. Attraversando la storia tra pagine cupe e gioiose, le sale restituiscono anche la dimensione individuale, quella delle famiglie ebraiche che conservano da secoli oggetti, opere e fragili attestazioni del tempo che passa. I Corinaldi, i Tagliacozzo e i Pardo accompagnano il visitatore mostrando un pezzo del loro archivio di famiglia, con album fotografici, quadri, tovaglie, diplomi ed altri oggetti. 

Gli inizi del Novecento raccontano di una nuova utopia, la nascita di uno Stato Ebraico in Palestina, che trova in Ferrara e nell’avvocato Felice Ravenna una delle sponde più importanti e infine il baule della crocerossina Matilde Levi in Viterbo, volontaria durante la Prima guerra mondiale: un ultimo simbolo dell’identità italiana amata e fortemente sentita che sarà tradita venti anni più tardi con la persecuzione nazifascista. Proiettate in parete, vecchie foto di famiglia accompagnano il visitatore all’uscita con un groppo in gola, mostrando sorrisi e speranze di famiglie italiane che di lì a poco avrebbero dovuto salutarsi e dividersi spesso per sempre. 

INFO:
Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS
Via Piangipane 81, 44121 Ferrara FE
https://meis.museum 

Orari di apertura
“Oltre il ghetto. Dentro&Fuori”
29 ottobre 2021 – 15 maggio 2022.
dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 18.00.
Aperture e chiusure straordinarie su https://meis.museum