21 Giugno 2016

Tutta la verità sulla Bike Night (fatta in macchina)

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In pratica il mio ruolo nella Bike night di quest’anno era semplice: preparare una playlist di canzoni per coprire 6 ore di programmazione, da quando iniziava la distribuzione dei pacchi gara alle 18, fino alla partenza di mezzanotte. Butta dentro tutto, non troppo trash, non troppo dance, non troppo anniottanta, qualcosa di sottofondo facile facile. Poi finisce che mi faccio prendere la mano e visto che per la prima volta sarei stato in città durante la manifestazione era davvero il caso di scrivere qualcosa al riguardo, di seguire la corsa dall’interno, come un fedele inviato di guerra al cospetto della truppa pedalante sull’argine. Così mi sono armato di macchina fotografica, poi di videocamera e infine ho lasciato a casa entrambe perché sarebbero state pesanti e professionali da portare in giro e poi i fotografi ufficiali c’erano già, inutile pestarsi i piedi. Cellulare, felpina e via andare.

Lo staff riunito per la plenaria poco prima dell'apertura

Lo staff riunito per la plenaria poco prima dell’apertura

Va detto che giochiamo in casa: lo staff di Bike Night è un ricettacolo di amici di vecchissima data, amici di amici, amici di amici di amici e svariati listoniani (ci chiamiamo davvero così?), la cui organizzazione durante l’anno avviene a pochi, pochissimi metri dalla mia scrivania. Pertanto stare tra i piedi dell’organizzazione la sera del 18 giugno è un po’ come uscire con gli amici per fare due chiacchiere.
Alle 18 non si vede ancora nessuno al Parco Massari: il giorno prima alla distribuzione anticipata dei pacchi gara (con l’adorabile cappellino da bimbiominkia viola in omaggio) si sono presentati in 600, così il giorno della partenza sono tutti giàpronti, giàcaldi, giammangiati e le segreterie rimangono a lungo con le mani in mano. Il grosso arriverà soltanto dopo le dieci e mezza di sera, in tempo per sistemare le ultime cose sulle biciclette, agganciare il cartellino con il numero di gara (spoiler: non serve a nulla, la gara non è nemmeno competitiva) e fare pipì ai bagni chimici. Nella bolgia generale che si forma al Parco Massari, dove l’organizzazione ha creato un villaggio partenza che nemmeno in Sardegna con gli animatori, ci sono ovviamente gli imbucati che si sono creati il numero di gara da soli scritto a penna, qualche giornalista con l’ipad che filma tutto, qualche volto noto con il golfino venuto a curiosare, qualche altro con la braghetta, pronto a partire.
Provo a convincere due amiche incerte se partire davvero a lasciare perdere la bikenight e godersi la serata da fuori. Ma chi ve lo fa fare, chiedo? Ma soprattutto sono qui per capire i convintissimi della prima ora cosa provano mentre pedalano in mezzo al nulla. Va bene i primi km, i punti ristoro, le chiacchiere in compagnia guardando le stelle, ma quando arrivi a Mesola all’alba e sei distrutto, e ti mancano ancora più di venti chilometri ecco, in quel preciso istante dove appoggeresti ciò che resta del posteriore rotto della sella scomoda ad un morbido divano e le gambe chiamano giacomo giacomo e nessuno risponde, nemmeno le cicale, i galli, i cani e gli ubriachi che stanno rincasando in quel momento, ecco in quel momento A CHE COSA VUOI PENSARE? Ma i ciclisti esperti che vedo in giro sono troppo esperti per preoccuparsene, hanno bici megagalattiche, in fibra di plutonio, leggerissime, ammortizzate, climatizzate, deodorizzate, antropomorfe. Qualcuno pedala su una ruota, qualcuno su tre, qualcuno a testa in giù, bendato, con la cresta colorata, con il costume di Batman. Sono tutti esperti, penso, questi non fanno nemmeno in tempo a pensare che sono già arrivati al mare, ma in mezzo a loro ci sarà pure la gente normale, no?
Invece di grazielline con il cestino se ne vedono poche, pochi con la braga scolorita e la maglietta della festa dell’unità del ’95, ora c’è Decathlon, Ikea, l’e-commerce, tutti hanno attrezzature dignitose in materiali gommosi e catarifrangenti pagati due euro, a prima vista sembrano TUTTI esperti. Poi arriva il vicesindaco e – sorpresa! – non ha la maglietta di nessun gruppo indie ma una anonima bianca, calzini di spugna come quelli che aveva mio padre nelle foto quando ero bambino e pantaloncini neri, sembra che debba disputare la partita scapoli-ammogliati e dice ai microfoni che non funzionano: ho deciso, quest’anno la faccio anche io! Certo, certo, si ride, sarà la solita passerella tanto per far vedere che è venuto, dove vuoi che vada. Rimango basito (F4) alle 6.08 del mattino quando ancora assonnato leggo su Facebook che è arrivato al mare in un tempo che io in confronto sarei ancora a Francolino. Sbagliavo io a pensare che la vita del politico fosse tutta cibo spazzatura e riunioni in poltrona!
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La gente si raduna fuori dal parco, c’è un gonfiabile enorme con lo sponsor per esigenze di sponsor, altrimenti non si capisce mai a che serva il gonfiabile, che ad un certo punto si è pure sgonfiato per l’ansia da prestazione cadendo in parte sulle teste dei ciclisti pronti a sfrecciare nella notte già freschina. Scalpitano, sgomitano, vogliono stare davanti, vogliono entrare nella foto, vogliono il paginone della Nuova, il selfie sul social, un piano quinquennale, la notorietà. Intanto ci sono le foto di rito con gli organizzatori, le raccomandazioni sul rispetto del codice della strada e infine quando mi aspetto il pronti partenza via, un conto alla rovescia, un big bang simbolico per rompere le righe arriva solo lo slogan che ha caratterizzato gli ultimi comunicati di Witoor, organizzatore della Bike Night. Dai microfoni l’ennesimo invito: GODETEVELA!
mrwf1jFosse facile. Sull’argine a Francolino sono già tutti intruppati in salita perché c’è troppa gente, 1430 sono quasi il doppio dello scorso anno. L’ambulanza chiude il corteo ancora compattissimo che si sbrodolerà nella notte con il passare delle ore. Ho imparato due cose in questi primi minuti di gara. La prima è che il furgone che chiude il corteo e tira su i morti di fiato si chiama carroscopa e a me ha fatto venire in mente quel cane di Alice nel paese delle meraviglie con la scopetta sul muso, a cancellare la strada appena calpestata, un traghettatore di anime sfiatate e biciclette ancora intonse. La seconda è che la dinamo, quella cosa che faceva rumore e ti rallentava tantissimo per fare una fioca ed inutile luce dal fanale, non la usa più nessuno. Ora ci sono i led, hanno batterie eterne, sembrano fari abbaglianti e da lontano fanno sembrare il corteo sull’argine una piccola autostrada di biciclette in fila indiana. C’è silenzio tra i ciclisti, si pedala piuttosto spediti, intorno c’è la notte buia della campagna ferrarese, nessuno a guardare e tifare, brillano solo le strisce catarifrangenti dei giubbotti gialli. Impossibile fotografarli, ritrarli, vedere che faccia hanno, chi sono, cosa pensano.
Le luci del primo ristoro a Ro Ferrarese rappresentano anche le mie personalissime colonne d’Ercole, oltre con la bici da corsa non mi sono mai spinto, a malapena il fiato mi consente di fare marcia indietro fino a casa. Vedere in quanto poco tempo il grosso del gruppo lo raggiunge mi sconforta parecchio. Una piccola invasione: arrivano in centinaia, sono assetati e affamati, sono partiti da nemmeno un’ora e già reclamano a gran voce una porzione di insalata di riso scotta e insipida. Tempo venti-trenta minuti e sono già ripartiti tutti, lasciando un carico di rifiuti e desolazione intorno al Mulino sul Po, dritti spediti verso il secondo ristoro. Si ritira dalla pedalata solo una coppia e mi fanno una tenerezza incredibile: sono stanchissimi, si scusano, l’anno scorso ce l’avevano fatta ma quest’anno hanno passato la giornata vestiti da cosplayer per il FeComics&Games e sono partiti già cotti, proprio non se la sentono di continuare. Ma la dura legge della Bike Night è: non ci si ritira dalla Bike Night. Al limite ti fermi, attendi il carroscopa e prosegui verso il mare a bordo, ma se vuoi andare a casa devi arrangiarti in qualche modo. Così i due fanno marcia indietro con pazienza e rientreranno da soli in bicicletta. Chissà se ce l’hanno poi fatta, i nostri eroi. Eccoli qui, comunque:
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Al secondo ristoro a Serravalle attendo di vedere già facce epiche ed esaltate di chi se la tira tantissimo per aver fatto ben 46 chilometri, invece nessuno è sudato, stravolto, paonazzo. Forse di notte è tutto più facile, dovrò iniziare a provare anche io qualche scorribanda notturna. Alla Fabbrica dell’acqua arriviamo che sono già tutti in coda per un pezzo di pinzone e un succo di frutta distribuito dall’Anffas. Scopro che se giri intorno al gazebo c’è un altro punto di distribuzione senza coda ma nessuno se ne accorge perché i ciclisti arrivando vedono la fila e si mettono in fondo in attesa ordinata. Nessuno dell’organizzazione li avverte così posso mangiare indisturbato svariati pezzi di torta e qualche bicchiere di succo. Il cappellino viola fa di me un biciclettore come gli altri, non desto sospetto alcuno, anzi probabilmente azzeccare le strade per arrivare fino a questi posti è stato perfino più difficile che seguire l’argine e la fila di bici. Un uomo si sente un po’ di nausea per qualche patologia pregressa e non se la sente di continuare, così rimaniamo in attesa che l’ambulanza al seguito ci dica cosa fare. Dopo la visita si decide di chiamare un taxi per riportarlo a casa, che per venire fino a Serravalle di notte chiede la bellezza di 115 euro. La dura legge della Bike Night è: se ti senti male a metà tragitto, sei nella merda.
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Adesso viene la parte difficile, mi spiega Fabio mentre risaliamo a bordo dell’auto che questa notte ci evita pedalate, mal di schiena, culi rotti ma ci mette necessariamente al servizio di quel che capita, chilometro dopo chilometro. Il suo compito stanotte è di assistenza generale, di jolly organizzativo al servizio di chi chiede informazioni o ha un problema. Nel frattempo è tutto un fare foto e video, aggiornare i profili social, che è poi quello che fa nella vita quando non organizza la Bike Night. Ci fermiamo nel nulla vicino a Mesola a fotografare l’alba, che arriva prestissimo, verso le quattro e mezza, si iniziano a notare visi stanchi, smunti, assonnati. Si va avanti per inerzia, ormai manca poco, pensano, o forse lo sanno benissimo che non è così, che Mesola non è il mare e poi si deve attraversare il bosco fino a Volano e un po’ più giù. Al terzo ristoro a Santa Giustina (frazione di Mesola di cui ignoravo l’esistenza) la gente si ferma e non sembra ripartire più: ormai è giorno, distribuiscono focacce con una spolverata di salsiccia, un crescendo culinario che sembra preludere ad un banchetto luculliano all’arrivo (spoiler: non sarà così), qualcuno ripara forature, si chiacchiera, ci si fanno foto, qualcuno chiama a casa i parenti già svegli, stiamo andando bene, tutto a posto, figata, mi son perso, il mio amico ha il cellulare staccato, quanto manca ancora, questa parte è stata terribile, sembrava di stare nel nulla.
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Poco distante dal ristoro il pullman con rimorchio che avrebbe dovuto riportare la gente a casa dal mare si incastra in una curva troppo stretta, serviranno venti minuti di bestemmie e insulti tra l’autista e la gente bloccata dietro per ripristinare la circolazione, nel frattempo i ciclisti che passano devono fare attenzione, fermarsi un momento, capire l’accaduto, quando mancano ormai pochissimi chilometri e si ha solo voglia di arrivare. Gli ultimi passaggi sono davvero il canto del cigno per ciclisti non abituali: sguardi persi nel vuoto, velocità ridottissime, qualcuno si fa spingere dal compagno di avventura e di vita, qualcuno si ferma a fare una foto che a prendere fiato e basta pare brutto. Si costeggia il boscone e sono solo rettilinei lunghi e privi di vita: cosa c’è ADESSO nella testa di te che pedali? Cosa ti spinge ad andare avanti? Lo senti l’odore del mare poco distante? Il profumo del caffè dell’arrivo? Il vento che annuncia il temporale tra qualche ora?
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Quando arriviamo al lido di Volano scopro cosa c’è alla fine della Bike Night. Ce l’abbiamo fatta, in auto certo, ma siamo arrivati al traguardo, di nuovo il gonfiabile blu della partenza, smontato da corso Porta Mare e portato qui in fretta e in furia. Pare che i primi arrivati alle 4 del mattino siano giunti talmente presto che ancora lo staff non l’aveva gonfiato. Poi c’è un prato bellissimo, un moletto, il mare perfino pulito sotto un cielo carico di nuvole nere all’orizzonte. Già dormono in tanti, sulle sdraio, per terra, sulle panche, sembrano essere qui da ore e aver fatto la cosa più naturale del mondo: una sgambata in bici fino al mare. Alcuni si stanno già rimettendo in moto per tornare a casa, sempre in bici, a ritroso. Altri cento chilometri fino a Ferrara. Pazzi!
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La coda per cornetto e cappuccino, per i bagni, le foto di rito all’arrivo (anche io non resisto e me ne faccio scattare una epica da maratoneta, come un passante scemo che non c’entra nulla con la corsa in bici), i gadget con scritto FINISHER che sembra quando finivi Mortal Kombat e facevi una fatality per uccidere l’avversario del videogioco. YOU WIN! Ce l’hai fatta, bravo! Abbraccio e mi complimento con i tanti amici che si sono cimentati nell’impresa. Se ce l’hanno fatta loro posso davvero provare anche io il prossimo anno. Lo dico da tre anni e l’ho ripetuto anche questa volta ben conscio che anche alla prossima edizione mi attenderà una nuova scusa per evitare il pubblico ludibrio sulle due ruote.
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Perché ho capito, ora che l’ho visto con i miei occhi, che per fare la bike night devi essere allenato, ma anche no, se rallenti e trovi il tuo ritmo in fondo ci arrivi lo stesso. Ho capito che la differenza sta tutta nel provare a salire in sella e vedere dove arrivi o rifiutarti a priori con pigrizia. Devi solo avere voglia di stare sveglio ad ascoltare la natura, il vento, le ruote che girano, devi sognare ad occhi aperti, darti un obiettivo e poi un altro ancora per vedere cosa c’è dopo quella curva e dopo quell’altra. Perché di notte mica si vede nulla, nella bassa padana poi… serve immaginazione, fantasia e tanto cuore nei pedali. Qualcuno non ammetterà mai che lo fa per moda, per esserci, per noia, come si partecipa alle corse podistiche dipinti di tempera, alle 5 del mattino o vestiti da imbecilli. Per postare su Facebook che c’eravamo, per i selfie, le gratifiche, le pacche sulle spalle degli amici.
Ma forse più di tutto chi partecipa alla Bike Night lo fa perché pedalare è un atto liberatorio di cui abbiamo ancora bisogno per ascoltare noi stessi, per riflettere sul futuro, per svuotare la mente qualche ora e assaporare la vita come viene. Un po’ come stare per minuti fermi sotto la doccia bollente, o a guardare in su distesi su un prato fiorito. Ascoltando solo il proprio respiro, da soli, ma circondati da tante facce note e sconosciute a renderlo più corposo, più tondo e vero questo collettivo silenzio. Non si vince niente, godetevela! dicevano dall’altoparlante alla partenza. Il significato in fondo è tutto qui.
FINISHER! Non le ho convinte a desistere, meglio così!

FINISHER! Non le ho convinte a desistere, meglio così!