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Ferrara sotto le stelle è un festival che tutti ci invidiano (Che bella Ferrara, avete Ferrara sotto le stelle e Internazionale, siete fortunati!), per il quale si scrivono fiumi di ottime recensioni e apprezzamenti, che richiama persone da ogni parte d’Italia eppure estremamente complesso da organizzare, da mantenere dopo oltre vent’anni ad alti livelli. Addirittura difficile da comprendere e digerire per una città abituata ad eventi musicali più piccoli, band locali o nomi nazionalpopolari da palasport: la nostra fortuna in questo caso è quella di ospitare band di caratura internazionale, di parlare a pubblici che si spostano facilmente per eventi musicali, di avere un respiro ben più ampio dell’evento locale, del festival musicale di provincia in una città di provincia.
Chi sono gli artisti che si esibiscono quest’anno? Perché andarli a sentire? Perché quel gruppo che mi piace tanto non lo chiamano mai e perché i grandi eventi live iniziano a mostrare un po’ il fianco anno dopo anno, numeri alla mano? Di questo e tanto altro abbiamo parlato con Bobo Roversi, direttore artistico della manifestazione.
Iniziamo dalla prima serata di giovedì 16 giugno: ASTRO è stato un esperimento che ha funzionato? Portare Caribou, Four tet e altri grandi nomi della scena elettronica ha portato a Ferrara un pubblico diverso dal solito?
Me lo auguro che fosse diverso! Una persona intelligente dovrebbe confrontarsi con vari generi di musica, con curiosità. Abbiamo mantenuto il profilo del nostro festival frequentando per una volta un altro genere… direi esperimento riuscito. Perché riuscisse completamente erano necessari però altri due elementi: un evento che si trascina avanti nella notte andava fatto di sabato, visto peraltro che c’era gente che arrivava da tutta Italia. Caribou era disponibile solo quel giorno e abbiamo dovuto costruire l’evento intorno a lui. Seconda cosa: forse andava annunciato prima, due mesi prima della data è un po’ tardi per le prevendite, anche se siamo soddisfatti della risposta che c’è stata.
È venuta gente da tutta Italia dunque, l’elettronica è più viva che mai.
C’è un bel travaso di pubblico tra le sonorità acustiche/elettriche più classiche e quelle elettroniche. D’altra parte un ricambio di band indie che non sia la solita fuffa io non la vedo. Le lineup dei festival più importanti sono sempre le stesse, alcuni nomi del Coachella di quest’anno hanno già suonato a Ferrara ad esempio. Invece la scena elettronica, nel senso ampio del termine, ha molto più fermento. Penso a James Blake, che fa soul ma contaminato con quei mezzi. Penso alla sbornia di Thom Yorke & co. e al loro uso dell’elettronica. C’è stato uno spostamento di interesse tra il rock indipendente un po’ standardizzato e altri suoni che avevamo messo nel cassetto e di cui c’è di nuovo bisogno. Pensa alla cosiddetta scena dei nuovi cantautori romani: non c’è una chitarra! Cosmo, Calcutta, I Cani, TheGiornalisti: tastiere, tastiere, tastiere.
Negli ultimi due o tre anni sembra davvero questo il tipo di suono più mainstream, ha invaso palazzetti e piazze ed è arrivato nelle radio più commerciali.
Se pensi a chi ha fatto numeri inaspettati negli ultimi anni ti viene in mente Moderat, Apparat, Chet Faker… Chet l’hanno programmato in un posto da 800 persone a Milano ma ne ha richiamate 4000… Era un nome interessante da portare anche a Ferrara ma purtroppo non ha fatto un tour estivo.
Ti dispiace quando nel cartellone di Ferrara sotto le stelle si leggono nomi già visti e che le band tornino sul palco di piazza Castello invece di poter proporre una lineup di nomi nuovi, rivelazioni e band da scoprire?
Mi piacerebbe ampliare lo spettro della proposta ma manca l’offerta. Quest’anno non ripetiamo niente a parte i Wilco, anche se vennero 5 anni fa in teatro in forma diversa. Poi ovviamente ci sono artisti che crescono a tal punto che non torneranno più in una location così piccola: ad esempio i Radiohead, o i Sigur Ros che tornarono qualche anno fa ma diminuendosi volutamente il cachet… Sarebbe bello ci fosse un ricambio ma deve garantire comunque partecipazione, deve fare dei numeri. Non siamo un festival di musica sperimentale dove va bene anche se vengono in 50 persone al concerto. Quindi l’artista italiano ad esempio lo inserisci ogni anno e poi cerchi di accontentare pubblici diversi.
È un problema comune a molti festival probabilmente.
Ci sono potenze che lavorano su festival enormi con un anno di anticipo, eppure vedi sempre quei nomi che girano e questo la dice lunga. Persino loro sono costretti a spacciare come grandi eventi reunion di gruppi in realtà mai sciolti (tipo gli LCD soundsystem, per non fare nomi) così da vendere qualche biglietto in più. Parliamo di festival per i quali la gente arriva dall’altra parte del mondo pur di partecipare eppure hanno bisogno di raschiare il fondo del barile con questi mezzi. Mi pare si cerchi di creare eventi dove non ce ne sono purtroppo più.
Forse perché sul web conta più apparire. Comunicazione, marketing… il contorno è diventato più importante del contenuto musicale stesso?
Il web ha cambiato le regole del gioco: ha parcellizzato gli ascolti in mille posti diversi. La troppa offerta non consente di concentrare gli ascolti su lavori importanti e di qualità e quando ci sono passano spesso inosservati nel calderone di nuove uscite e di artisti che reclamano visibilità. Un disco difficile e pieno di contenuti, quelli che ti arrivano dopo dieci, venti ascolti, quanta possibilità ha di essere ascoltato con attenzione ormai? Internet sta diventando più forma che contenuto: un giochetto per vendere e farsi notare. Spiace dirlo ma trovo un po’ stucchevole l’operazione dietro il lancio dell’ultimo album dei Radiohead. Un bellissimo disco che non aveva bisogno di questa campagna virale con il sito che scompare e la foto misteriosa sui social ogni giorno… alla fine quello che ti resta è la musica, se l’album è bello lo riascolti, altrimenti no.
Sta diventando difficile portare a casa un artista a Ferrara sotto le stelle, con il proliferare di eventi e piccoli festival? Anche il sold out diventa sempre più un miraggio se la band non fa una data unica in Italia.
Ci sono tanti festival, ma brutti. Quelli seri si contano sulle dita di una mano e la lista dei cadaveri sul campo è lunga, da Heineken a Perfect Day ad esempio… altri hanno cast inadatti, come all’autodromo di Monza, dove a fronte di uno spazio enorme ci sono artisti che starebbero in realtà in una piccola piazza. C’è un po’ di concorrenza interna e alcune realtà che non passano dai canali convenzionali del mercato per maggiore disponibilità economica, come il Lucca Summer Festival.
La mia impressione in generale è che il pubblico dei live estivi stia calando. Gli artisti non prendendo più soldi dai dischi suonano troppo in giro, passano per lo stesso paese molte volte e alla seconda o terza data i numeri calano per forza di cose. Anche i fan si dividono se non c’è una data unica nello stesso paese: i Wilco ad esempio vanno a Milano, Roma e Ferrara, è chiaro che noi ne siamo un po’ penalizzati.
Talvolta l’artista di grande richiamo è improponibile per i costi.
D’estate i cachet degli artisti schizzano alle stelle e non ce li possiamo permettere. Non vengono proprio in Italia perché nessuno riesce a permettersi quelle cifre, spaventando un po’ tutti nel settore. Così magari fa ritorno qui soltanto in autunno quando passa dai club con incassi minori, costi più contenuti, meno biglietti disponibili. Dal loro punto di vista è una decisione facile: se noi non gli garantiamo il cachet richiesto lo farà qualcun altro: Sziget, Novi Sad… altri grandi eventi europei con budget ben più alti.
Perché in Serbia riescono e noi no?
Che ci riescano davvero è da capire… bisogna vedere chi rimane in piedi dopo aver annunciato artisti che costano troppo e che magari poi non fanno grandi numeri. A volte ti accolli rischi economici enormi e l’anno dopo devi far fatica. Noi non tiriamo mai la corda oltre quanto possiamo permetterci. In ogni caso quest’anno ci saranno numeri più bassi per tutti in Italia, le prevendite sono ovunque sotto le aspettative.
Concerti come quelli di Ferrara sotto le stelle che prevendite registrano solitamente?
Quasi tutto l’incasso è dovuto alle prevendite, il giorno dell’evento i numeri son fatti. Se il prezzo del biglietto è alto la prevendita è determinante per assicurarsi il posto e la sera del concerto sono in pochi a decidere all’ultimo di venire. Quest’anno comunque a parte i concerti nel cortile del Castello probabilmente nessuno tra quelli in piazza andrà sold out.
C’è questo mito che si tramanda da anni secondo il quale le band proposte a Ferrara sotto le stelle rientrano tra i tuoi gusti musicali o di quelli dello staff che organizza il festival.
Solo in alcuni casi in realtà. A casa mia ascolto la musica che mi piace, qui il tutto va calibrato sotto tanti aspetti per portare a casa dei numeri. Non ascolterei mai i Bastille o i Fun però li abbiamo proposti per pubblici più giovani. Alcuni artisti che adoro sono passati e li abbiamo proposti soltanto perché pensavamo che avrebbero suscitato interesse, come Sufjan Stevens nel 2011, esaurito in prevendita per una data davvero memorabile al Teatro Comunale. Ma non l’avremmo chiamato solo perché piace a me, non è come andare al supermercato a prendere gli artisti dallo scaffale.
Puoi avere l’artista che ami di più disponibile due giorni dopo che hai smontato il palco e così la data salta. Per chiudere la partita devi trovare nei giorni che hai scelto una band già in giro in Europa, che non sia troppo debole come riscontro pubblico, devi trovare una formula che non ti incastri, che se va male non ti provochi un danno economico. Il mio lavoro è quindi quello di trovare un equilibrio tra tutte queste condizioni. Quest’anno poi è un anno pari e c’è il calcio, che non aiuta di sicuro… Per i Sigur Ros nel 2006 c’era in contemporanea Italia-Germania (semifinale mondiale, vinta 2 a 0 con gol di Grosso e Del Piero) e circa 500 biglietti già venduti quella sera non vennero ritirati.
Non ti è mai capitato di prenderti una cotta adolescenziale per un gruppo e provare a portarlo a Ferrara in collaborazione con la sua agenzia? Magari un emergente…
Fare 900/1000 persone nel cortile del Castello è già un risultato importante… ma un gruppo piccolo lo potrebbero andare a vedere solo in 30 o 50 persone. Anche se ho una fissazione per qualche band sconosciuta dev’essere condivisa da un numero decente di persone. Poi l’artista non fa una data solo per te: o è in tour o non puoi permetterti di pagargli volo, pernottamento e tutto il resto da solo. Forse se sei un oligarca russo lo puoi fare per un evento privato, ma per noi i cosiddetti “one off” sono economicamente insostenibili, non ne abbiamo mai avuti.
Per chiudere facciamo un giochino. Mettiamo che non conosco nessuno degli artisti in cartellone quest’anno e mi devi invitare ad ogni concerto spiegandomi perché vale la pena venire a sentirli.
Glen Hansard: un musicista che ha vinto il Premio Oscar per la canzone originale di Once, una carriera più che ventennale, era attore in The Commitments e mescola la carriera di attore e cantante da molti anni. Consigliato per chi ama le ballate, la musica irlandese di qualità, di cuore. Un artista fuori dai giochi commerciali, un musicista vero, che fa un disco solo quando è pronto. Si diverte molto sul palco e viene con una full band, sarà interessante.
I Cani: dovrebbe andarci chiunque. Il suo ultimo album, Aurora, è il miglior disco italiano dell’anno. Niccolò Contessa è partito in modo irriverente, complice una timidezza disarmante ad ogni uscita pubblica, ma quest’ultimo disco è un piccolo classico, dove non si butta via nulla, lontano anni luce dai Pariolini di 18 anni. Dice cose molto pesanti con grande semplicità, in modo accattivante. Sta facendo la stessa progressione artistica che fecero i Baustelle di Francesco Bianconi e merita ogni attenzione possibile.
Wilco: semplicemente uno dei gruppi più importanti degli ultimi vent’anni, che ti piaccia la musica rock americana o meno. In apertura c’è Kurt Vile, che avremmo proposto come data a se’ ma si sono trovati e siamo riusciti a coordinarli, faranno altre tre serate insieme negli USA. I Wilco sono una band che sa suonare, con vent’anni di carriera, mi aspetto un pubblico più colto e preparato, ma non deluderebbero un nuovo ascoltatore curioso.
The Last Shadow Puppets: è un concerto “da milanese”. Forse quello che avrà maggior pubblico alla fine, il supergruppo musicale britannico formato da Alex Turner, leader degli Arctic Monkeys e Miles Kane, ex-leader dei The Rascal, mette insieme due musicisti molto bravi. Il progetto che propongono è interessante, è un baroque pop, un misto tra pop e orchestra di archi che si rifà alla tradizione di venti o trenta anni fa, cantabilissimo, senza le asperità degli Arctic Monkeys, perfino divertente.
Mogwai: last but not least, migliore incarnazione possibile del cosiddetto post rock, prevalentemente strumentale. Una band che ha subito decine di tentativi di imitazione, che ha inventato uno stile unico e dal vivo ti avvolge con un suono che parte piano e poi cresce in modo maestoso. In questo caso suonano un accompagnamento musicale al documentario Atomic, di Mark Cousins, sul tema dell’energia atomica, sia in termini di progresso scientifico che storici e bellici. Verrà proiettato in piazza Castello e quindi sonorizzato dal vivo dai Mogwai. Sarà spettacolare.