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Chi mi conosce sa del mio affetto smisurato verso questa città. È qualcosa maturato negli anni, cresciuto nel tempo in modo esponenziale, da quando alle elementari studiavamo storia di Ferrara, fino agli ultimi anni in cui l’esperienza di Listone Mag mi ha fatto conoscere nel profondo tante storie che rendono speciale il capoluogo estense. Eppure per quanto sia nato, cresciuto e vissuto sempre e soltanto a Ferrara, la mia famiglia non è originaria di qui. Quella che segue è la vera storia del perché io sia ferrarese, di come il famoso battito d’ali di farfalla in Cina possa causare un terremoto in America e come il caso spesso guidi le nostre vite più di quanto non sembri. È una storia già edita sul mio blog Ciccsoft qualche anno fa, ma che credo sia divertente riproporre come racconto estivo anche ai lettori di Listone Mag.
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Questa mattina a colazione chiacchierando con mia nonna scopro il principale motivo per il quale sono nato e vivo a Ferrara, avendo metà parenti in Lombardia e metà in Abruzzo.
Mio nonno materno era nella Polizia Stradale, categoria che da bambino mi affascinava molto e dalla quale oggi mi tengo ben alla larga quando sono al volante, pensando sempre di essere nel torto per qualcosa, di aver commesso qualche errore passibile di multe. Erano gli anni ’50 e Beppe si trovava in servizio a Reggio Emilia. Guidava la moto, faceva i rilievi sulle statali, qualche incidente, multe per eccesso di velocità, cose così. Il ricordo che ho di mio nonno non combacia con la figura del poliziotto arrogante e autoritario, tutto patente-e-libretto-prego e sguardi dall’alto in basso. Il rigore e la compostezza erano sicuro valori che gli appartenevano, ma in casa era sempre una persona buona e gentile, lessico e modi da caserma non facevano per lui.
Da certi atteggiamenti e chiacchiere all’interno della Polizia venne fuori che il Capitano del comando, il capo tra gli altri di mio nonno Beppe, era ghéi. Dice proprio così a colazione mia nonna mentre lo racconta, con la e aperta lombarda e una parola per lei insolita. Ghéi. Forse all’epoca avrebbero detto effeminato, tuttalpiù omosessuale.
Lo immagino discriminato e deriso il Capitano, in una società che non era pronta a certi atteggiamenti ancora oggi faticosamente sopportati in certi ambienti, figuriamoci tra i dirigenti di una centrale di Polizia degli anni ’50. Venne segnalato in maniera anonima alla sede centrale e questo gli rese la vita più complicata. Un conto è una voce, una diceria, una burla, ma se qualcuno fa rapporto su un aspetto della vita privata di un uomo diventa una mezza verità. Diventa un outing non richiesto.
A quanto pare mio nonno Beppe era nelle mire e negli affetti del Capitano ma non ricambiava sue certe attenzioni, così venne tacciato insieme ad un collega di essere il responsabile della segnalazione ai piani alti, atto che tuttavia non aveva mai compiuto.
Così il Capitano ghèi decise per punizione di trasferirlo ad altra sede, racconta mia nonna. Ferrara era una città di provincia decentrata ed ancora piccola, una sede che nessuno richiedeva e cui nessuno ambiva particolarmente, nonché città natale del Capitano. Lì venne mandato il nonno Beppe, con due figlie piccole, una moglie al seguito e quaranta giorni di tempo per trasferirsi.
Lì nacqui io, quasi trent’anni dopo. Ferrarese grazie a un capitano ghèi.