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Passando per il lungo Corso del Popolo di Pontelagoscuro fin da bambino, andando verso il Po per qualche gita fuori porta occasionale, non mancavo di notare la fila di casette tutte uguali che accolgono i passanti ad un primo ingresso in paese provenendo dal quartiere Barco, ultimo avamposto ferrarese a nord prima del cartello Ferrara sbarrato. Sembrano casette inglesi, pensavo ormai più grande, con quei tre-quattro scalini che portano l’ingresso più in alto come è d’uso in molti paesi anglosassoni, il piccolo cortiletto davanti, la cancellata contigua e un’ingresso dritto dritto sulla strada principale, a stabilire un legame più diretto tra l’abitato e l’asse principale dove passavano bici, cani, autobus, anziani con il bastone e donne con le sporte della spesa.
Sono i marchigiani, mi disse un giorno mia mamma, in maniera sommaria. Sono i marchigiani mi disse distrattamente un giorno mio padre passando di lì. Marchigiani. Perché a Pontelagoscuro ci fosse una comunità marchigiana così estesa era una storia che prima o poi avrei dovuto farmi raccontare. Seppure in parte già nel tempo l’avevo sentita per voce di alcuni amici, colgo l’occasione del 60° anniversario della costruzione del Villaggio Montecatini, celebrato proprio lo scorso weekend, per fare due chiacchiere con chi questa storia la conosce bene.
Incontro Giuseppe Ruzziconi, vicepresidente dell’Ass. “Cristalli nella nebbia” mentre prepara olive ascolane al circolo ACLI proprio lungo Corso del Popolo. Tra poche ore arriveranno il Sindaco e il Parroco per il pranzo celebrativo e il paese è in fermento per organizzare tutto: nei piccoli giardini delle casette marchigiane tutte uguali nonne e nipotini attendono il passaggio del Cantamaggio. Qualcuno ha allestito un tavolino con vino e torte per festeggiare insieme quando passeranno i suonatori con i loro canti tradizionali porta per porta, quattro o cinque ragazzi della terza generazione dei marchigiani che tiene viva la tradizione tra saltarelli e serenate tipiche. A loro si unisce pian piano un piccolo corteo di abitanti e curiosi, c’è il sole dopo alcuni giorni dal tempo incerto, il clima perfetto per stare qualche minuto fuori casa.
“Il villaggio marchigiano venne costruito dalla Montecatini tra il 1953 e il 1954: pensa che efficienza, in otto mesi l’hanno costruito da zero – mi spiega Ruzziconi – blocchi di case che erano previsti inizialmente per 4 appartamenti tra sopra e sotto, poi 5 visto che con il passare del tempo gli arrivi sono aumentati. Circa 250 famiglie trasferite da Cabernardi, nelle Marche.”
Perché proprio questo luogo? A Cabernardi ha sede una importante miniera di zolfo, che la Montecatini acquisisce nel 1917, ma che era già in attività dalla fine dell’Ottocento. Attorno agli anni Venti e fino all’inizio della guerra Cabernardi collegata alla miniera di Percozzone e via teleferica a Bellisio solfare tra le provincie di Ancona e di Pesaro vede una crescita di lavoratori fortissima fino a contare quasi tremila persone occupate tra minatori e amministrativi, poi chiude definitivamente nel 1959. Nel 1952 Montecatini annuncia i primi consistenti licenziamenti, oltre 900, che portano gli operai ad uno sciopero per 40 giorni, con i minatori chiusi a 700 metri sotto terra mentre la trattativa tra la ditta e le organizzazioni sindacali non trova un accordo. “Coppi maglia gialla!”, è l’originale slogan che gridano i lavoratori occupando la miniera, rimandando al ciclista vincitore del Tour de France quell’anno e al colore dello zolfo. Al termine della protesta i licenziamenti sono trasformati in trasferimenti in Sicilia, in Trentino ed altri siti attivi di proprietà di Montecatini. Alcuni finiscono a Pontelagoscuro dove la Montecatini possiede lo Stabilimento Petrolchimico, che produce plastiche, urea e fertilizzanti.
Nel 1954 vengono consegnate le chiavi alle prime famiglie arrivate, ricongiunte con i familiari lavoratori. E’ il primo maggio 1954, giusto sessanta anni fa. Inizialmente ogni operaio paga un affitto alla Montecatini ma negli anni quasi tutte le case vengono acquistate dalle famiglie che le abitano attualmente: qualcuna è oggi in vendita, qualcuna nel tempo viene venduta ad abitanti ferraresi. Sono circa una quarantina le famiglie che abitano attualmente il Villaggio Montecatini e costituiscono un gruppo importante all’interno di un paese relativamente piccolo come Pontelagoscuro dove si contano circa seimila abitanti.
L’integrazione con i pontesani nativi non è certo cosa facile: Pontelagoscuro bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale in piena fase di ricostruzione è un paese da ripensare. Lo sviluppo del complesso petrolchimico Montecatini condiziona anche lo sviluppo urbanistico che vede arretrare a circa 600 metri dal fiume Po l’agglomerato urbano del paese. Il piano di ricostruzione oltre al Villaggio Montecatini vede la costruzione di Ponte Nuovo, del quartiere Barco in risposta alle esigenze abitative di operai e di ceti meno abbienti e del quartiere Doro con interventi successivi di imprese cooperative che determina, tra gli anni Sessanta e Ottanta, un unico complesso urbano senza soluzione di continuità con la città di Ferrara.
I primi operai vengono visti con diffidenza, si dice siano venuti a togliere lavoro ai ferraresi. Solo con il tempo si capisce che la Montecatini ha di fatto investito i profitti della miniera nelle Marche nel territorio ferrarese, portando ricchezza e maggiore lavoro in questa terra. Con gli anni Settanta e Ottanta iniziano poi i primi matrimoni misti tra le due comunità, i figli della prima generazione arrivata a lavorare a Pontelagoscuro, poi nuovi arrivi fino ai primi anni Ottanta. Il grosso è stato fatto.
Oggi c’è piena integrazione: due culture convivono a Pontelagoscuro in una sorta di competizione e collaborazione. Due culture che si mescolano, nei dialetti diversissimi tra loro, nelle tradizioni culinarie tramandate e insegnate l’una con l’altra. Il forno di Piazza Buozzi che inizia a fare il pane marchigiano e la comunità di Cabernardi che scopre i deliziosi mandurlìn tipici di questi luoghi sono l’inizio di un processo che rafforzerà le rispettive conoscenze, in una cooperazione che mantiene intatte le diverse identità ma con benefici per entrambe le comunità.
Proprio in questi giorni l’Associazione Cristalli nella Nebbia annuncia la ristampa del completissimo libro “Cristalli nella nebbia, minatori a zolfo dalle Marche a Ferrara” e un percorso di approfondimento che porterà alla realizzazione di un museo virtuale online per raccontare con linguaggi nuovi queste vicende alle generazioni future: la memoria dei vecchi abitanti di Pontelagoscuro va perdendosi ed è doveroso documentare e mettere nero su bianco le storie di un tempo ormai lontano. Sarà compito loro tra sessant’anni friggere le olive ed invitare le autorità per festeggiare e ricordare il Villaggio dei loro antenati, quel giorno remoto in cui il mondo marchigiano e ferrarese mescolarono un po’ le carte tra di loro.