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Premessa: non avevo mai letto un libro di Dario Franceschini. Così mi sono procurato la sua ultima fatica, “Mestieri immateriali di Sebastiano Delgado”, l’ho scaricato in ebook da Amazon, come mi è parso giusto fare per un libro che parla di cose immateriali. Si legge in un’oretta e scorre via leggero e divertente. Commuove e fa riflettere, è una storia surreale e romantica, di una dolcezza inaspettata. E’ quel libro che regaleresti a Natale ad un amico caro, che consiglieresti per un breve svago a qualcuno affinché si possa perdere tra le pagine lasciandosi trasportare dalla storia e dall’immaginazione, superata ovviamente la ritrosia a leggere un libro scritto da un politico.
– Ma mi hai regalato il libro di Franceschini? – direbbe qualcuno perplesso. Infatti il Dario scrittore ci tiene moltissimo a non essere scambiato per quell’altro che sta a Roma al Ministero, un caso pazzesco di omonimia e somiglianza fisica, dice di se stesso scherzando.
Il protagonista di questo breve romanzo è Sebastiano Delgado […] Mentre si gira e si rigira solo tra le lenzuola del letto matrimoniale, pensando a quanto vorrebbe avere una donna che dorma accanto a lui, ha l’intuizione che gli cambierà la vita per sempre. Com’è possibile, si chiede, che in un mondo attento a soddisfare ogni minima richiesta materiale, il mercato non offra nulla per i bisogni dell’anima? È così che Delgado trasforma quella che gli sembrava soltanto una stramberia, nel successo globale della sua Agenzia, con quei tredici Mestieri Immateriali – da ‘le dormitrici’ a ‘le sbadanti’ ai ‘ballisti’ – che parlano ai nostri desideri più intimi, a quelle voglie piccole ma inconfessabili che sono parte di ognuno di noi, e che nel frastuono del quotidiano dimentichiamo.
Lo incontriamo in un pomeriggio di inverno a margine della presentazione del libro da IBS, nel suo studio ferrarese, per una chiacchierata sulla sua nuova vita da scrittore, per parlare di Ferrara e del suo mestiere immateriale di Ministro per i rapporti con il Parlamento.
“Mestieri immateriali di Sebastiano Delgado” è il suo quarto romanzo, fa davvero sul serio: vuole fare lo scrittore da grande?
Io in realtà non sono un politico, sono un caso raro di omonimia e di somiglianza fisica con il Dario Franceschini politico! Vorrei che ci fosse una netta distinzione tra i due, anche se spesso la gente mescola. Quasi tutti gli scrittori italiani fanno anche altro nella vita per campare: professori, magistrati, giornalisti, scienziati… quelli che fanno esclusivamente gli scrittori in Italia saranno dieci al massimo. Se scrive un politico invece sia gli elettori che i lettori non digeriscono la convivenza tra i due mestieri… sono diffidenti.
Hanno venduto bene i precedenti libri?
Rispetto a come vende poco la narrativa italiana sono andati benone. Però quello che ha venduto di più è la traduzione francese di Nelle vene quell’acqua d’argento, edito da Gallimard. Nessuno mi conosce in Francia e ho vinto persino un premio. Sono stato giudicato solo da scrittore com’è giusto che sia.
Potrebbe usare uno pseudonimo.
No, ormai non regge più: sulla rete svelerebbero l’inghippo immediatamente. C’è chi sfrutta persino la cosa per marketing. Hai sentito il caso della Rowling? E’ stata lei stessa a dire che si celava dietro l’autore esordiente di un certo romanzo… fino a quel momento poche vendite, poi il boom!
Riesce a conciliare la vita da politico con quella da scrittore? C’è il tempo per fare tutto?
Ci sono scrittori abitudinari che passano le giornate a scrivere… Io non ho la possibilità di fare così, il mio lavoro quotidiano è la politica, scrivo in viaggio, in treno, in aeroporto nei ritagli di tempo. Quando sei nella fase iniziale scrivi quando capita, poi se la storia ti prende e non vedi l’ora di finirla ti concentri di più. Quest’ultimo romanzo in particolare l’ho scritto prima di diventare Ministro in aprile.
Scrivere nasce da un’esigenza, un bisogno di comunicare e raccontare qualcosa che va oltre la vita quotidiana caotica della politica?
Ho iniziato da bambino, era il mio sogno. Ho scritto romanzi di poche righe, così per divertimento e per il fascino della scrittura. Il primo romanzo in età adulta (il sopracitato Nelle vene quell’acqua d’argento ndr) ho impiegato molto tempo a scriverlo e qualche casa editrice me l’ha respinto. Nel 2006 l’ho mandato a Elisabetta Sgarbi, che non conoscevo. Ho pensato: chissà che imbarazzo avrà a dirmi di no! Invece le è piaciuto e ha deciso saggiamente di pubblicarlo in una collana tascabile, senza pretese. E’ andato bene. Ho sempre avuto un timore reverenziale nel chiamarmi scrittore, non ho un certificato da “scrittore” o qualcosa che lo attesti, però dopo quattro romanzi forse potrebbero davvero iniziare a chiamarmi così…
Nei suoi romanzi si avverte sempre il bisogno di evasione, di rompere gli schemi, di cercare il bello, l’emozione…
Alcuni scrittori raccontano quello che vivono e lo trasformano in narrativa. Per me scrivere è un’opportunità straordinaria di vivere altre vite, di essere altre persone, di andare in altri luoghi, trasgredire. Non farei mai un romanzo ambientato nei palazzi romani della politica per esempio. Questo è quello tra i quattro romanzi più ai confini, ambientato per la prima volta nel presente, senza una collocazione geografica precisa o una descrizione fisica del personaggio. Più il lettore è libero di immaginare personaggi e luoghi e più il libro diventa suo. Così mille copie di un romanzo diventano mille copie diverse in base a chi legge.
Quali sono i modelli letterari a cui si ispira? Questo libro nello stile sognatore ma al contempo ironico mi ha ricordato per certi versi il surreale di Stefano Benni…
A parte il riferimento che ho avuto con il realismo magico di Garcia Marquez nella stesura del primo romanzo, non ho più avuto un modello preciso cui ispirarmi. Mi appassiona sentire dai critici collegamenti con autori che in verità non ho mai letto. Sono un lettore onnivoro, non ho una preferenza particolare.
Il protagonista di questo breve romanzo ha un’intuizione improvvisa, agisce di impulso mosso da un’idea o un raptus. Un bisogno, come nel romanzo Nelle vene quell’acqua d’argento e La follia improvvisa di Ignazio Rando. Si rispecchia in questi protagonisti? È un impulsivo?
No, non c’è alcuna autobiografia nei miei personaggi pur seminando frammenti di me nelle cose che scrivo. Il fatto che l’autore sia conosciuto per altro spinge il lettore a cercare riferimenti precisi quando legge. Io vorrei che venisse letta la storia senza preconcetti o informazioni su di me in mente. Molta gente vive una vita diversa da quella che vorrebbe vivere, perché ne è impossibilitato per motivi economici o sociali, o perché non ha il coraggio di viverla. I miei personaggi ad un certo punto della loro esistenza rompono questi schemi e si riappropriano della loro vita, è una cosa che mi piace molto.
Quale tra i mestieri immateriali che Sebastiano Delgado crea per la sua agenzia è quello di cui sente più il bisogno personalmente? E’ bella ad esempio l’idea delle Dormitrici con cui si apre il libro: persone che trascorrono a pagamento la notte in compagnia, solo per dormire insieme senza che null’altro avvenga.
Ce ne sono tanti di mestieri che mi piacerebbe esistessero… pensa che Marino Sinibaldi di Fahrenheit ha scoperto un articolo di giornale che racconta di un albergo giapponese dove il servizio delle Dormitrici esiste davvero! A me piacerebbe un Silente, che stesse in silenzio con me, o un Ricordante che racconta vecchie storie a bordo di un taxi. Renderebbe piacevoli gli spostamenti.
E quale sarebbe un vero toccasana per la nostra società?
I Buttatori, che aiutano le persone a privarsi degli oggetti inutili ed elaborano una nuova gerarchia di valori. La ricchezza va misurata non sui beni materiali posseduti ma sul tempo a disposizione che uno ha, che è sempre più scarso. E’ il bene più prezioso al giorno d’oggi.
C’è una trasmissione in tv che racconta di persone che non riescono a buttare via nulla, finendo per rimanere sepolte in casa tra oggetti vecchi e immondizia.
Davvero? Servirebbero dei Buttatori anche a loro!
Nel capitolo “I Direttori” c’è un passaggio molto bello dove il protagonista regala a suo padre la possibilità di dirigere un’orchestra seppur per finta, e una sorella in lacrime che assiste commossa. Frammenti di ricordi o un semplice omaggio alla sua famiglia?
Qui c’è un po’ di autobiografia. Mi svegliavo da bambino e ricordo mio padre ascoltare musica classica, dirigeva l’orchestra nella sua mente, muovendo le mani. E’ un desiderio inconfessabile di molti quando ascoltano a teatro un’opera o anche in casa con lo stereo acceso.
Lo faccio anche io, quasi sempre.
La cosa bella è che molti per assurdo pensano di essere davvero in grado di farlo con gesti semplici. Da qui l’idea che uno dei servizi dell’agenzia di Sebastiano Delgado poteva essere lasciar dirigere in teatro un’orchestra a chi ne sentiva il bisogno. Secondo me funzionerebbe, in tanti vorrebbero provare l’ebbrezza di far partire la musica dalla propria bacchetta.
Quindi c’è qualcosa di vero in alcune di queste storie.
Un po’ si. Ma come dice Delgado nel libro, non c’è alcuna differenza tra Ballisti e Ricordanti, perché le storie quando sono state raccontate esistono e basta. Cosa conta se è vissuta nel passato per davvero, è vissuta nella fantasia, o magari metà e metà?
E’ il marchio di fabbrica di Berlusconi: lui spara frasi ad effetto, che siano vere poi non ha importanza, sa che tra chi lo ascolta c’è chi gli darà retta.
Si, il problema è che lui non ha alternativa e influenza troppe persone…
Lei scrittore oltre che politico, sua sorella scultrice e pittrice… siete una famiglia di creativi?
Evidentemente qualcosa ci è stato trasmesso dai nostri genitori… Mio padre era un avvocato e ha fatto politica ma amava la musica, dipingere… ha scritto inoltre diverse cose. Dev’essere così. In realtà la gente non si divide tra chi ha una vocazione artistica e chi non l’ha, qualcosa è dentro ognuno ma c’è chi lo scopre e chi no. Ferrara poi è stimolante.
Questa città ha un suo tempo lento, sospeso, che talvolta compare anche nei suoi scritti. Le manca vivere in una città di provincia?
Io mi sento una pietra di Ferrara, ne conosco ogni millimetro, è come se ci stessi tutti i giorni anche se ci torno solo settimanalmente. Ho qui mia mamma, gli amici, la politica… Però come è capitato a molti ferraresi che nel corso della vita sono andati via, da lontano ho finito per apprezzare di più le cose di Ferrara. Qui si vive nell’ordinarietà, se ti allontani hai un minimo di distacco e nostalgia.
Consiglierebbe di allontanarsi un po’ da qui per evitare di rammollirsi?
È un consiglio che darei a tutti gli italiani, come fanno in tanti altri paesi stranieri, condizioni economiche permettendo: girare, aprirsi al mondo, conoscere quello che c’è in giro. Poi scegliere. Se uno vede una cosa sola non può scegliere: conosce solo quella…
Cosa apprezza di più di una città come questa e quali sono i suoi limiti più evidenti?
Un grande pregio di Ferrara è la qualità della vita individuale, il sapere accontentarsi di una città che non ha quel desiderio di crescita smisurata come altre realtà metropolitane. A livello collettivo però se accontenti l’imprenditore, l’agricoltore, ovviamente spegni la sua crescita: la città ha storicamente poca impresa e molti depositi bancari. Individualmente si vive bene ma se andiamo a confrontare dati oggettivi con altre città dell’Emilia siamo rimasti più indietro.
Non c’è il rischio che Ferrara non abbia un futuro perché molti giovani non trovano lavoro qui e finiscono per andare a vivere altrove?
Non è questione di Ferrara. Con una disoccupazione così alta in Italia molti giovani cercano opportunità all’estero. Io credo che sia ora di accettare il fatto che il mondo inizia a mescolarsi. Abbiamo tanti ragazzi italiani che vanno via e pochi stranieri che vengono qui, questo è il vero problema.
Così facendo allora chi abiterà la Ferrara di domani?
Questa città ha tutte le carte in regola per avere un grande futuro, perché è una città vivibile, geograficamente in una posizione importante, con una buona offerta culturale, c’è un’università di tutto rispetto… Superata la crisi le città che avranno mantenuto un’alta qualità della vita saranno ricercate, la gente cercherà posti dove stare bene. Buon sistema di protezione sociale, bellezza, storia, offerta culturale…
Pochi giorni fa abbiamo raccontato la storia di un gruppo di vicini di casa a Ferrara che hanno creato un gruppo su Facebook per conoscersi, sapere che mestiere fa uno o l’altro, aiutarsi, organizzare momenti comuni…
E’ un’idea bellissima, intelligente e vincente al giorno d’oggi. Dovrei farla nel mio condominio…
Sembra uno dei servizi dell’agenzia del suo romanzo: allora sono possibili anche nella realtà.
Ci sono i bisogni del corpo e quelli dell’anima. La nostra società si occupa troppo dei primi e poco dei secondi mentre i media dovrebbero occuparsi di più di queste idee positive. Paradossalmente ormai farebbe più notizia una cosa bella in mezzo a tante notizie negative. E pensare che l’Italia è piena di realtà che operano nel sociale, che fanno solidarietà, che inventano qualcosa di buono, di creativo…
Come sta andando l’esperienza nel Governo Letta? Le piace fare il Ministro o è una responsabilità faticosa seppure gratificante? Le mancano i momenti della politica più ruspante fatta di comizi, feste dell’unità, momenti tra la gente?
Faticoso lo è, anche se ci sono cose ben più faticose nella vita. Sapevamo che un governo di questo tipo, con dentro avversari politici, non avrebbe suscitato l’entusiasmo del Paese. Quello che vedo è un Paese spaccato in due ma non per provenienze politiche: una gran parte delle persone aspetta cose concrete che dobbiamo fare. Poi ci sono due tifoserie che sparano addosso al Governo. E sono quelle che fanno più opinione, sulla rete, sui giornali… So dal primo giorno che l’appartenenza a questo Governo, quando finirà, avrà lasciato sul petto più cicatrici che medaglie. Però è un servizio che va fatto per il paese. E’ una responsabilità importante, ma in questa situazione economica e senza una legge elettorale è difficile governare quest’Italia.
La farete questa benedetta legge? Ora è persino incostituzionale il Porcellum…
Se non la facciamo dovrebbero venirci a stanare con i forconi.
Come mai la nostra generazione è così assopita e non è mai arrivata a proteste di piazza organizzate? Anni fa si protestava seriamente per molto meno…
Perché era più identificabile il tutto. Con Berlusconi ad esempio c’è sempre stato lo schema contro/a favore dei comunisti. Ora che la sua era è finita bisogna ricostruire gli schieramenti per qualcosa, non contro. Sarà più difficile. La protesta contro la politica è odiosa: ci sono i ladri e disonesti, ma anche le persone serie, eppure si viene accomunati tutti insieme come fossero uguali. Come dire: gli impiegati sono tutti fannulloni. Gli imprenditori sono tutti evasori.
Cosa fa esattamente il Ministro per i rapporti con il parlamento? Non è un ministero un po’ fumoso ed immateriale anche questo?
Certamente è immateriale! Io sono Ministro anche per il Coordinamento delle attività di Governo. Da un lato devo seguire i provvedimenti legislativi, tra due camere, ventotto commissioni parlamentari, gruppi parlamentari, eccetera… infatti sono un grande sostenitore del superamento del bicameralismo. Poi devo tenere insieme i problemi dei diversi ministeri, devo tirare le fila del lavoro di tutti. Poca visibilità e molta fatica.
Ritiene che il neoeletto segretario Matteo Renzi, nonostante un’iniziale avversità da parte sua, sia la persona giusta in questo momento? Saprà superare i limiti del Partito Democratico che ci sono stati fino ad oggi o rischierà di dividere ulteriormente?
Quando si va a scegliere, anche se devo scegliere tra Mandela, Kennedy e Obama, scelgo solo tra quei tre candidati. Tra quelli in campo a queste primarie credo che Matteo sia quello che dà maggiormente una risposta alla domanda di innovazione del paese e del partito. Il paese ha una gran voglia di cambiamento e il PD ha voglia di essere un partito aperto e riformista. Se dividerà il partito dipenderà da lui e da quello che farà il Governo. Le primarie sono per natura competitive, ma non è detto che dal giorno dopo non si collabori insieme a migliorare il partito, come ho fatto lealmente quando persi nel 2009 contro Bersani. Sono tre persone ragionevoli, spero lo faranno.