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Per quelli della mia generazione, ma anche per tantissimi altri tra i tifosi meno anziani, la SPAL dei ricordi da ragazzini è sempre stata una piccola squadra delle serie minori, l’equivalente calcistico di una città di provincia che non poteva competere sotto nessun profilo con le grandi metropoli. “Per che squadra tifi?” era una delle domande dirimenti per definire amicizie e simpatie. La risposta ricadeva facilmente in una delle sette sorelle calcistiche e solo in alcuni casi si aggiungeva: “…vabbè, e poi per la SPAL.”. Come dire: ovvio che la sostengo la squadra della mia città, ma siam messi così male che alla fine compro la maglia di Van Basten o di Baggio, son quelle le squadre che mi fanno sognare.
Ci siamo diventati grandi, alcuni vecchi, con quel sostegno implicito ad una squadra che arrancava, falliva, ripartiva, dove soltanto lo zoccolo duro della curva e degli abbonati storici ha tenuto botta tra trasferte assurde, incontri improbabili e mal di pancia continui per tornare faticosamente nel calcio che conta. Ci siamo talmente abituati ad essere provinciali che come il piccolo villaggio di Asterix quando è arrivata la promozione in serie B, dove mancavamo da 23 anni, ci siamo sentiti immensi ed eroici, sperando di riuscire a restarci il più a lungo possibile. Una festa che non è mai finita, una cavalcata trionfale fino alla promozione nella massima serie lo scorso anno, e di anni nel frattempo ne erano trascorsi 49 dalla volta prima, più di mezza esistenza per alcuni.
Speriamo di restarci, hanno pensato di nuovo in molti. Se ci salviamo è già un miracolo, facevano eco altri. Come se militare in una serie non fosse il risultato meritorio di una stagione vincente ma un regalo piovuto dal cielo. Come se giocarsi la permanenza in Serie A fosse cosa impossibile per una neopromossa che aveva fatto il doppio salto, maturata così in fretta da sembrare inesperta e fragilissima.
Forse un po’ fragili lo siamo, non è stata una stagione tutta rose e fiori, ma Mister Semplici e i suoi ci hanno abituato bene: oggi festeggiamo per la terza volta consecutiva un piccolo miracolo calcistico che forse farà meno notizia sui giornali (si parla sempre di chi retrocede e molto meno di chi si salva) ma fa felice e unisce una città intera, rendendo orgogliosi soprattutto i tifosi occasionali, o quelli che non sono tifosi affatto ma si sono uniti alla famiglia spallina solo negli ultimi tempi.
Non è più il momento di fare prigionieri guardando male il tifoso occasionale, nell’ultimo anno la SPAL ha permeato talmente la città da essere diventata patrimonio di tutti, un must come la ciupeta e il castello estense, il cui fascino ha conquistato anche gli impensabili. Vivo davanti ad un campo di calcio e al netto delle casacche fluorescenti quest’anno ho visto indosso a bambini e adolescenti più maglie della SPAL che della Juve. Ho visto molte delle imprese principali della città diventare sponsor di una squadra di calcio ed eventi culturali e di beneficienza coinvolgere il popolo spallino. Ho visto amici che non seguono il calcio chiedere a che indirizzo potevano seguire le partite in streaming. Ho visto mia madre rimuovere la foto di mia figlia dal profilo Whatsapp per metterci orgogliosa il logo della SPAL, e questa è davvero grossa, no? Parlare di SPAL è diventata materia comune, argomento imprescindibile su cui essere preparati a tutti i costi, che unisce grandi e piccini, ultras e mamme con figli, galeotti e sacerdoti. Sono rimasti in pochi gli haters a tutti i costi, i disinteressati a prescindere, quelli cui non fa almeno piacere che sempre più persone scopriranno Ferrara anche grazie al calcio, che le nuove generazioni potranno scegliere di usare la propria squadra locale nei videogiochi invece delle big.
Basterebbe questo ad esserne felici: una squadra di calcio come questa unisce, fa sognare, fa discutere, per non parlare dell’indotto economico che tutto questo ha generato in città e i cui benefici vedremo ancora il prossimo anno. Ma ho anche visto persone barricate in casa con una transenna alta tre metri che toglie il respiro e ti fa sentire in gabbia, persone che non vivono più un quartiere perché quando la SPAL gioca in casa la zona è blindata e tornare a casa sembra un’impresa impossibile. Ho visto gente che lavora in zona stadio scappare prima dell’arrivo dei tifosi nei turni infrasettimanali e signore anziane non riuscire più a guardare la tivù la sera per la luce accecante dei fari enormi del Paolo Mazza. Ora arriveranno i lavori di ampliamento per avere uno stadio all’altezza dei nostri sogni, ci saranno nuovi disagi e nuove polemiche, qualcuno sarà felice, qualcuno si lamenterà che in fondo è solo un gioco e forse stiamo tutti esagerando.
Ma è il calcio, bellezza: se prendiamo coscienza che siamo arrivati tra le grandi per restarci il più a lungo possibile dobbiamo lavorare per essere tutti più tolleranti: tifosi, cittadini, commentatori da social e da bar. Se questa sbornia collettiva finisse domani di colpo, se il biancazzurro sparisse dai weekend di tifosi e mogli, dalle bocche di giornalisti e bambini, sono sicuro saremmo tutti un po’ più soli e tristi. Per questo ci sono già la nebbia e la bassa padana, per carità.