25 Dicembre 2014

La bottega di Regali di Vicolo dei Duelli

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Uscii come ogni anno per onorare il noioso rito dei regali, cercando all’ultimo minuto un’idea disperata, il più possibile vincente, cercando di far fare bella figura a Babbo Natale con mio figlio. In giro una collezione di cose già viste: il Natale nella propria città con il passare degli anni sembra sempre una copia via via più sbiadita dei ricordi caldi e abbondanti di quando eri bambino. Le tristi bancarelle in piazza con le mistocchine, le adorabili ma inutili cianfrusaglie nel nuovo negozio nordico low-cost, le librerie piene di gente in coda per pagare alla cassa l’ultimo best seller erotico della scrittrice anonima inglese, i negozi di telefonia mobile traboccanti di promozioni incredibilmente convenienti soltanto per loro. Non avrei trovato in questi luoghi qualcosa di adatto.
Immerso nei miei pensieri vagabondai stanco a caccia di un posto a sedere in almeno uno dei costosi caffè del centro per una cioccolata calda, ma non era aria nemmeno per quella perché erano ricolmi di compratori di regali in pre-aperitivo.
Su un marciapiede troppo stretto passò di fianco urtandomi un barbone. Non un mendicante, ma un uomo con una folta barba.
– Mi scusi! – disse il barbone
– Di nulla – risposi
– Buona giornata – tagliò corto lui
– A lei! Tenga, buon uomo – esclamai porgendo al tizio una moneta impolverata e qualche pelucco estratto dalla tasca del giaccone
– Non sono mica un mendicante! – disse offeso il barbone
– Certo che no, ma la prego accetti la mia moneta, si prenda un caffè o ci paghi il costoso parcheggio in centro, ho bisogno di compiere una buona azione con uno sconosciuto, tanto per risollevarmi il morale.
L’uomo con la folta barba prese la moneta e la lanciò in terra stizzito, rifiutando l’elemosina e allontanandosi con parole che non è bello riferire.
Mi chinai a raccogliere la moneta. La schiena faceva ancora male da quella botta presa a calcetto ormai quattro mesi fa, era davvero ora di prendere la cosa seriamente, parlarne con il medico, fare qualche esame approfondito, prendere coscienza di essere un uomo più che quarantenne, non quell’ottimo centrocampista di un tempo, orgoglio della squadra amatoriale del paese. Rialzando lo sguardo da terra notai un cancello aperto su un vicolo semibuio. Non il cancello qualsiasi di una casa privata o di un palazzo elegante: chiudeva l’ingresso di una stradina che proseguiva strettissima tra due file di case consumate e umide, l’erba vi cresceva alta tra i ciottoli e un gatto sembrava averci preso residenza perché qualcuno aveva allestito per lui una ciotola con del latte. Appeso al cancello di ferro battuto un piccolo cartello sbiadito dal tempo era legato con un fil di ferro ad altezza delle mie ginocchia, nel posto dove nessuno l’avrebbe mai letto passandoci davanti. C’era scritto:
REGALI
e sul fianco una minuscola freccia disegnata a posteriori con qualche pennarello indelebile invitava a proseguire oltre il cancello. Visto che per la prima volta mi ero accorto dell’esistenza del suddetto vicolo ed ero sempre stato curioso di scoprire cose nuove in una città che ormai sapevo a memoria, varcai la soglia e mi addentrai nella penombra.
Quel cartello solleticò i miei pensieri, accendendo in me la speranza di poter trovare qualcosa di bello da regalare per Natale ad un bambino cui non manca niente, come spesso i genitori ripetono ad ogni festività per giustificare la totale assenza di idee in materia di regali.
Lungo il vicolo puzza di pesce, qualche finestra chiusa da troppi anni e ormai arrugginita, porte di scantinati che celavano chissà quali anticaglie inutili, un paio di sacchi del pattume ancora da buttare.
Con circospezione percorsi tutta la breve stradina, un vicolo cieco che terminava con un angolo retto su un tratto ulteriore, chiuso nuovamente da un cancello, meglio conservato del primo e sfortunatamente chiuso. Proprio a pochi metri da esso una piccola porta rossa socchiusa riportava un’insegna di legno finemente intarsiata:
REGALI
Spinsi leggermente la porta che risultò essere più leggera del previsto, aprendosi completamente sotto le mie dita.
– Permesso? – chiesi timidamente restando sull’uscio.
La stanza illuminata da una fioca lampadina era un piccolo antro delle meraviglie: c’erano oggetti stranissimi ovunque, appoggiati su tre o quattro banconi, appesi alle pareti e a ganci che pendevano dal soffitto. Difficile capire cosa fossero esattamente, non avevano l’aspetto antico e demodè che si trova tra le antichità di un negozio di antiquariato, nemmeno la polvere e l’odore di muffa tipico di un robivecchi qualunque. Apparivano moderni ma al contempo incomprensibili nelle forme e nel possibile utilizzo. L’unica cosa che riuscii a capire in quei pochi secondi di ispezione era che erano straordinari.
Avanzai nella stanza avvicinandomi ad un banco con un librone enorme aperto su una mappa piuttosto dettagliata della Megasia, che non avevo mai sentito nominare. Poco distante un tomo con una copertina elegante in pelle aveva un titolo curioso: “Catalogo delle vergogne umane”. Sopra di esso era appoggiata una lampadina priva della filettatura e già accesa nonostante nulla gli desse energia. Quello che sembrava un computer modernissimo era acceso sulla stessa scrivania: il monitor era colorato di rosso, a video compariva la parola “Ventotto” a rotazione in ogni lingua più o meno conosciuta. Premetti un tasto a caso per interagire in qualche modo, il computer sibilò forte e in quel momento entrò nella stanza Giovanni.
– Buongiorno, sono Giovanni!
– Lo vedo – risposi, alludendo al maglione fatto a mano con la scritta GIOVANNI che campeggiava ricamata sul petto.
L’uomo era incredibilmente piccolo, fosse stato dietro al bancone non l’avrei quasi notato, ma si avvicinò con aria divertita e cordiale.
– Come posso aiutarla? – chiese.
– Ho letto il cartello REGALI sul cancello lungo la strada laggiù, e sono entrato incuriosito, mancano due giorni a Natale e speravo di trovare qualcosa di carino per mio figlio. Quest’anno Babbo Natale rischia davvero la figuraccia se non mi invento qualcosa – spiegai gentilmente.
– Mi dispiace deluderla: Regali è il mio cognome. Mi chiamo Giovanni Regali, impiegato delle poste n°556263, sezione distaccata del quartiere GAP.
– Oh… mi scusi tantissimo allora, non intendevo disturbarla è che la porta era aperta così…
– Non mi ha affatto disturbato! – esclamò Giovanni Regali – Anzi se posso esserle utile in qualche modo…
– Cosa sono tutti questi oggetti? Per caso è un collezionista?
– Sono gli oggetti che ho comprato girando per il mondo in tanti anni: ci sono cose stranissime e particolari, di ogni paese che ho visitato ho cercato le cose più rare, capaci di catturare la mia attenzione. Ci sono cianfrusaglie ma anche oggetti di molto valore. Se vuole qualcosa sono disposto a barattarli, ma la prego niente denaro, non sono in vendita.
– Tra tutte queste cose c’è qualcosa che potrebbe piacere ad un bambino di otto anni? Qualcosa di speciale, che lo lasci a bocca aperta?
– Certamente. Ho io la cosa che fa per lei. Attenda qui.
Giovanni andò sul retro e tornò poco dopo con una scatola bellissima di legno. Era decorata su ogni lato, vari legni colorati si alternavano e formavano dei motivi davvero deliziosi tra parti in rilievo e incavate. Aveva l’aspetto prezioso, come contenesse qualcosa di molto, molto importante. Gli angoli erano ricoperti in ferro, un gancio chiudeva lo scrigno al centro e non c’erano scritte di alcun tipo su di essa tranne una piccola in un angolo che Giovanni non mancò di farmi notare. Incisa con qualche oggetto appuntito diceva: “Erika TVB”.
– Cosa vuole che le dica, mi deve scusare, me ne sono accorto quando ero già tornato a casa, altrimenti l’avrei lasciata dov’era. Probabilmente opera di qualche ragazzetto che l’ha posseduta prima di me – si giustificò
– Nessun problema, ma cosa contiene? – chiesi incuriosito
– Questo lo scoprirà insieme a suo figlio quando aprirà la scatola. Si fidi, è il migliore regalo di Natale che potrebbe mai fargli.
– E cosa vuole in cambio per questa scatola?
– Vediamo… potrebbe darmi il suo orologio d’oro, oppure lasciarmi soggiornare nella sua casa in montagna un mesetto quest’estate…
– Come sa che ho una casa in montagna? – chiesi, quasi risentito
– L’ho immaginato, ha il segno dell’abbronzatura sul naso ma siamo sotto Natale, come minimo torna da una settimana bianca. Ma non si preoccupi, in alternativa potrebbe portarmi un trono di spade, ne cerco uno da molto tempo, l’ho visto in tv in quella serie che va di moda adesso. O un vaso di Pandora, un computer indossabile, un panegirico da spalmare, una crema ad energia solare, un riprodu…
– Benissimo per la casa in montagna, quando vuole andarci mi chiami e sarà mio ospite – tagliai corto.
Salutai Giovanni lasciandogli il mio biglietto da visita, uscendo con la scatola tra le mani, incartata in fogli di giornale per celare il suo prezioso contenuto.
– Dunque mi garantisce che sarà un bel regalo per mio figlio? – chiesi nuovamente
– Il migliore! – garantì Giovanni dalla porta di casa, con un cenno di capo affettuoso di congedo.
Tornai a casa e misi sotto l’albero l’insolito oggetto in attesa dell’apertura il giorno di Natale. Cercando in ogni modo di resistere alla tentazione non aprii anzitempo la scatola, decisi che sarebbe stato più bello scoprire il suo contenuto insieme a mio figlio, ci saremmo stupiti in due.
Il mattino di Natale mio figlio si svegliò prestissimo, agitato e curioso di vedere se Babbo Natale fosse passato anche quell’anno. Non c’erano da scartare tanti regali con i fiocchi colorati, le carte luccicanti e bigliettini con i pupazzetti ma solo un pacco, avvolto malamente con la carta del quotidiano.
Lo aprì con estrema riluttanza speranzoso fosse qualcosa di straordinario. Distrutta la carta in pochi secondi guardò la scatola di legno poi guardò me, poi guardò ancora la scatola di legno, trattenne le lacrime e qualche fanculo che fosse stato più grande mi avrebbe certamente rivolto, come a dire “cos’è questa scatola? Dove sono i miei regali?”, infine la aprì curioso.
L’espressione di meraviglia nei suoi occhi non sarei capace di raccontarla a parole ma la ricordo ancora oggi perfettamente. Rimasi a bocca aperta insieme a lui, in silenzio qualche secondo prima che iniziasse ad urlare felice come solo un bambino sa essere, abbracciandomi fortissimo. Era davvero il più bel regalo di Natale che si potesse ricevere, il più bello di quelli ricevuti fino ad allora.
Da quel giorno non chiese più alcun regalo: l’anno seguente scrisse un’ultima lettera a Babbo Natale per ringraziarlo del dono immenso dell’anno precedente, spiegandogli che non sarebbe stato possibile superare un simile regalo in futuro, pertanto avrebbe smesso di inviare ulteriori missive e di chiedere altri regali.
Rimase di quella convinzione fino ai ventisette anni, quando, senza lavoro e una qualche prospettiva nella vita, mise il suo regalo straordinario in vendita su Ebay non senza perplessità, sperando di recuperare almeno i soldi per le sigarette di quel mese. Un vecchio magnate russo vinse l’asta offrendo oltre centomila dollari, interessato alla preziosissima scritta “Erika TVB” intagliata a suo tempo nel legno della scatola da uno sconosciuto. Sicuro avrebbe fatto felice la sua quinta moglie Erika, una procace ballerina diciannovenne di una compagnia di terz’ordine a Kiev.
Con i soldi ricevuti mio figlio comprò una barca, salpò in segreto verso destinazione sconosciuta un giorno di ormai dodici anni fa, e da allora non ebbi più sue notizie. Nel vicolo del sig. Regali, da quel giorno, non ho mai più avuto il coraggio di tornare.