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Da un mese a questa parte abbiamo nostro malgrado iniziato a conoscere tutto sull’Ucraina: la sua storia, la sua situazione politica, dove si trovano le città principali. La guerra ci ha reso inquieti per il coinvolgimento italiano e lo spettro dell’atomica sullo sfondo, ma al contempo universalmente solidali verso un popolo che sentiamo vicino per tanti aspetti sociali e culturali. Da qualche settimana parliamo di loro come profughi, li stiamo accogliendo nelle città europee, oltre 7000 solo in Emilia-Romagna di cui più di 500 nella provincia di Ferrara.
C’è chi di accoglienza si occupa in realtà da tanti anni in tempo di guerra come di pace, perché le vicissitudini della vita non conoscono sosta, e molte famiglie ucraine non hanno mai avuto stabilità economica dopo il crollo dell’URSS. A Ferrara da ormai vent’anni le donne che decidono di trovare fortuna nella nostra città scappando dai paesi dell’Est hanno un posto dove rivolgersi e dove ricevere supporto. L’Associazione Nadiya (“speranza” in russo) nasce nel 2002 sull’onda del crescente flusso di immigrate provenienti soprattutto dall’Est europeo e trova nei servizi alle persone anziane la principale fonte di occupazione, grazie al corrispondente crescente invecchiamento della popolazione italiana, in particolare quella ferrarese che ha numeri particolarmente negativi in questo senso.
Per saperne di più incontriamo il responsabile dell’associazione, Roberto Marchetti, nella sede di piazzetta Sant’Etienne, un po’ nascosta dentro il cortile della chiesa di Santo Stefano. In quelli che un tempo erano parte dei locali parrocchiali sorge oggi una casa che è prima di tutto rifugio diurno per le donne che cercano supporto e aiuto lavorativo, legale e medico. Roberto è in pensione da pochi anni dopo una vita di lavoro in Eridania, in passato ha collaborato come contabile insieme a Don Domenico Bedin, come parte attiva di Viale K, che ancora oggi offre rifugio e assistenza agli emarginati di ogni tipo. Dopo alcuni anni vissuti congiuntamente alla Fondazione Migrantes della Diocesi di Ferrara ed in costante sinergia operativa con il Circolo Interculturale Meeting di Viale K, l’Associazione Nadiya si è resa autonoma nel 2006.
Quando Roberto ci accoglie in casa sembra non esserci nessuno, ma arrivano voci dalle stanze in fondo alla grande sala principale. È ora di pranzo, in cucina qualcuno sta preparando da mangiare, nel giro di qualche minuto arrivano altre donne, si salutano, raccontano cosa hanno fatto, si confrontano, ridono. Il clima è disteso, come una grande famiglia dove tutti si conoscono. Fuori c’è il sole e la tv rimane spenta, gli echi della guerra sembrano lontani, forse emergono nei discorsi che riusciamo a malapena a percepire, ma in una lingua che suona incomprensibile.
Negli anni Nadiya ha dato supporto a oltre 1500 donne, ci spiega Roberto, che hanno attinto gratuitamente ai servizi di ospitalità ed assistenza offerti dai volontari dell’associazione. Il suo scopo principale è quello di realizzare interventi di orientamento e inserimento socio lavorativo, soprattutto nel campo dell’assistenza domiciliare agli anziani, ma anche di fornire formazione, informazione ed assistenza a tutte le donne straniere che lo desiderano. Pur non facendo intermediazione di lavoro, l’associazione dispone di un albo con richieste ed offerte, per mettere in contatto gratuitamente gli assistiti con le badanti disoccupate, tutte persone conosciute da almeno alcuni anni.
“Noi non sappiamo se siano più o meno brave sul lavoro e non diamo indicazioni o facciamo preferenze – spiega Roberto – possiamo solo garantire sul loro comportamento quando sono qui. Chi abbiamo scoperto aver agito in modo disonesto è stata depennata e allontanata.”
Circa l’80% di queste donne proviene dall’Ucraina, poi ci sono russe, rumene, slave… le porte sono aperte per tutte. Come spesso accade le prime arrivate hanno passato parola e così di bocca in bocca la comunità ucraina è finita per essere quella dominante nell’associazione, ma lo stesso è successo in generale anche in città. Nel 2019 all’anagrafe risultano residenti a Ferrara 2059 persone di nazionalità ucraina, di cui il 78% sono donne: una comunità enorme e fortemente sbilanciata tra i due sessi, seconda per dimensione soltanto a quella rumena e grande quasi il doppio di quella albanese, divisa invece esattamente a metà tra uomini e donne.
Un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: il parco dei giardini dell’ex Standa è da oltre vent’anni ritrovo delle donne dell’est, in larga parte badanti in pausa che si trovano qui fin dal loro primo arrivo agli inizi di questo secolo. Un luogo scelto per praticità, vicino al centro, alla piazza, alle Poste. Roberto insieme a Don Domenico è partito proprio da qui quando ha iniziato a occuparsi di loro per dargli quell’assistenza medica che per molte sembrava impensabile: alcune sostavano ore ai giardini senza andare in bagno, senza prendere le medicine al momento giusto, senza un tetto dove andare prima di prendere servizio in qualche famiglia.
“Quando arrivano qui in Italia molte di loro ripartono da capo e resettano la loro vita quasi del tutto – racconta Roberto -. Abbiamo visto arrivare medici, infermiere, fisioterapiste, contabili, insegnanti, ma alcune finiscono a fare un lavoro per loro degradante. Altre invece riescono a ricostruirsi una professione simile a prima, come le tre donne medico che negli anni hanno deciso di laurearsi nuovamente ed oggi esercitano in strutture pubbliche e private come ginecologhe. Alcune altre ancora nella loro città di origine erano maestre, o insegnanti di ballo e canto nelle scuole primarie dove particolare importanza viene data alla musica. Oggi offrono supporto a chi non conosce ancora bene la lingua, proprio a marzo sono iniziati i corsi di italiano per adulti e ragazzi.
Roberto spiega che alcune donne al loro arrivo raccontano di avere competenze particolari: una diceva di essere laureata “in legname”, che in Ucraina è in effetti un corso di studi importante e propedeutico al mondo del lavoro. Una aveva lavorato come chimica alla centrale nucleare di Chernobyl, così ha tenuto una conferenza per raccontare la catastrofe del 1986. Molte delle ragazze più giovani non conoscevano affatto la vicenda, un po’ per il ridotto numero di canali di informazione ucraini, spesso di propaganda, un po’ per la scarsa cultura generale di molte di loro. Un’altra ancora all’arrivo ha dichiarato di essere una pianista, così le hanno comprato una tastiera musicale e si è esibita qualche volta nei centri sociali per anziani, oggi accompagna i canti durante le feste che vengono organizzate.
La grande sala dell’associazione Nadiya è infatti prima di tutto un luogo di festa, di ritrovo e condivisione di esperienze. Dispone di una biblioteca con circa 800 libri in cirillico, 150 film doppiati in lingua russa, e promuove attività di formazione ed informazione con seminari e conferenze, rivolte sia alla donna straniera che ai datori di lavoro. Le donne dell’est arrivano solitamente in Italia con poca voglia di condividere e socializzare fuori dal giro di conoscenti esistenti. Non hanno quasi mai più di una o due amiche, con le quali spesso hanno condiviso il viaggio. Nel weekend si trovano a Nadiya per festeggiare i compleanni dei bambini o commemorare un defunto, offrendo il pranzo come da tradizione. Alcune si stendono su uno dei divani per riposare un po’ tra un turno e l’altro di lavoro, o sfruttano la connessione ad internet per comunicare con i parenti a casa.
Una comunità che rimane però completamente disconnessa dal tessuto sociale e culturale cittadino: il ferrarese medio fatica ad avvicinarsi a loro per incapacità di parlare la stessa lingua e per un differente stile di vita. Ogni tanto l’associazione organizza gite turistiche, o esibizioni pubbliche del coro di voci russe, portato in tournée in varie città dell’Emilia. Piccoli momenti di contatto tra due mondi e due culture che quasi sempre finiscono per interagire soltanto nel momento del bisogno tra un malato e chi si prende cura di lui.
Cosa succede quando però ad ammalarsi è una di loro? Una persona che assiste un malato e si ammala a sua volta diventa un peso per le famiglie degli assistiti. Così quasi sempre perdono il lavoro e la casa in un solo momento e qui entra in gioco Nadiya. “Già da molti anni abbiamo in gestione un condominio dell’ASP in via Frescobaldi per il quale paghiamo l’affitto. Qui abbiamo accolto le prime figure ammalate e negli anni abbiamo incrementato la nostra disponibilità, oggi possiamo contare anche su un’altra struttura ACER a Porotto, per chi per ragioni di salute ha bisogno di maggiore tranquillità. Servirà proprio in questi giorni ad accogliere la prima famiglia di sei donne scappate dalla guerra in corso. Quando parliamo di malattie si tratta per queste donne quasi sempre di tumori o leucemie, per questo lavoriamo a stretto contatto con i reparti di Oncologia ed Ematologia dell’Ospedale di Cona. In particolare nel caso di malate terminali ci occupiamo di organizzare le esequie e la cremazione, ma molte per motivi religiosi preferiscono essere seppellite in patria, quindi ci occupiamo del loro rimpatrio a nostre spese.”
La religione è libera e l’associazione tiene un certo distacco da tutte le comunità esistenti: alcune donne frequentano uno dei luoghi di culto ortodosso o greco-cattolico in città. Quest’ultimo vede come ritrovo la chiesa di Santa Maria dei Servi, in via Cosme Tura, al centro in questi giorni della raccolta di indumenti e pacchi da inviare in Ucraina con i tir. Il patriarcato ortodosso si divide invece tra il culto rumeno, nella rinnovata chiesa dei Santi Cosma e Damiano di via Carlo Mayr, e quello russo nella Chiesa del Monastero di Santa Giustina, in piazzetta Cortebella. Unico tempio che si fregia di avere l’iconostasi, cioè la struttura divisoria adorna di immagini sacre tipica di questo tipo di culto.
Una divisione, quella confessionale, che influisce non poco sui rapporti tra le donne che frequentano l’associazione. Motivo di discussione che si aggiunge naturalmente al dibattito politico, in particolar modo in tempo di guerra. Roberto ha già vissuto un momento di tensione tra le mura di Nadiya durante l’Euromaidan del 2014. Storia recentissima e momento chiave per comprendere anche il conflitto attuale con la Russia, Euromaidan è stata una serie di violente manifestazioni pro-europeiste iniziate in Ucraina nel novembre 2013, a seguito della decisione del governo di sospendere le trattative per chiudere un accordo di associazione con l’Unione Europea. Durante le proteste si è verificata un’escalation di violenza dopo l’attacco delle forze governative contro i manifestanti: le proteste sono sfociate nella rivoluzione ucraina del 2014 e nella fuga e messa in stato di accusa del presidente Viktor Janukovyč.
Come in quei giorni la presenza di sentimenti filo russi e filo ucraini sta creando nuovi dissapori e quindi si cerca di non parlare dell’invasione russa più del dovuto. Alcune donne ucraine che vivono nello stesso appartamento con donne di provenienza russa hanno di punto in bianco letteralmente cacciato di casa quelle che non sono più ritenute amiche gradite, così l’associazione si sta attivando per trovare loro una sistemazione alternativa. “Durante l’Euromaidan seguivamo le notizie dall’unico canale russo – ricorda Roberto. – Una sera ho chiesto di spegnere per evitare discussioni tra una tavolata filo russa che voleva ascoltare e una ucraina più europeista, in disparte dall’altro capo della sala, per festeggiare una ricorrenza. Ho messo della musica ma ho scelto per caso un cd di una band russa che non conoscevo, a momenti mi trovo addosso tutta la comunità ucraina per questo gesto maldestro! Alcune delle persone più anziane dopo una vita di difficoltà sono ruvide e indisponenti al dialogo, ma spero che le nuove generazioni crescano con meno spirito nazionalista e più voglia di apertura e condivisione in pace”.
Nel frattempo alle nostre spalle sono entrate due donne di mezza età, discutono tra loro sedute sul divano, in un misto di italiano e ucraino. La comunicazione con le loro famiglie per fortuna è ancora possibile, c’è lo smartphone per leggere dove sono arrivate le truppe russe e ricevere rassicurazioni dai parenti lontani via Whatsapp. Si trovano a Vinnycja, ci dicono, una città a 260 km a sud ovest di Kiev, già colpita da bombardamenti negli ultimi giorni. Stanno tutti bene, spiegano aprendo le mani in un gesto al contempo di rassegnazione e speranza. Bisogna andare avanti e il lavoro chiama incessante, non c’è troppo tempo per avere paura, specialmente se la vita ti ha regalato pochi sorrisi fino ad oggi e hai dovuto venire fin qui per cercare un po’ di pace.
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