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COLAPESCE – Maometto a Milano (assolo) – Soundkeeper: Stefania Andreotti
Non si può non voler bene a Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo, cantautore siciliano riservato e poco avvezzo a classifiche, passaggi in radio e tv e tutto quel mondo promozionale che ormai ha corteggiato il mondo della musica indipendente per provare a renderla mainstream. Cosmo due anni fa suonava nel cortile del Castello in apertura del concerto dei Cani a Ferrara sotto le stelle, pochi giorni fa i numeri e il mercato lo hanno portato in scena nella più spaziosa Piazza Castello. Stessa sorte prima di lui per Le luci della centrale elettrica, TheGiornalisti e altri cantautori della leva italica indie, che un giorno erano nei club con data infrasettimanale e tre gatti a sentirli, e il giorno dopo hanno fatto il botto e non te li levi più di torno ovunque vai.
Ecco, Colapesce dopo quasi dieci anni di carriera, tre album e un Premio Tenco, ieri sera era ancora un artista da cortile del Castello (e grazie al cielo): una dimensione più intima e riservata, per pochi cultori della materia, palati fini, neoromantici, oltre certamente ad un buon numero di studentesse universitarie fuori sede che, complice la compresenza di Alessandro Baronciani a firmare le locandine dell’evento, hanno contribuito all'”effetto cuoricini” della serata. Poteva esserci perfino più gente, visto che l’ingresso era gratuito in occasione della Giornata delle Cooperative, interamente finanziata da Legacoop Estense, ma il ferrarese medio fa sempre fatica ad affacciarsi per vedere chi suona in giro e spesso al concerto preferisce la più sicura passeggiata con gelato sul Listone o Viale Carducci al Lido degli Estensi. Maledetti italiani, direbbe proprio Colapesce.
L’altra volta che avevo visto Colapesce dal vivo era appena uscito il suo primo disco, erano di moda i secret concert, una cosa che ti iscrivi e all’ultimo ti dicono dove suonerà l’artista, che si tratterrà poi a cena con i presenti, spesso in case private ospiti di qualcuno. In un negozio di roba vintage fuori Bologna, Colapesce si esibì quasi completamente in acustico per una ventina di persone, seduti su tappeti e scatole di legno, tra vestiti, scarpe e mille oggetti di modernariato, in un’atmosfera molto suggestiva. Al termine chiedergli un autografo sul suo CD (bei tempi quando compravamo ancora CD) parve perfino eccessivo per lui, che sorpreso della richiesta ritenne di chiacchierare un po’ per scrollarsi di dosso ogni cliché tipico del cantante al cospetto di un suo fan.
Anche ieri al termine del live mentre firma un numero ben più alto di autografi sembra non aver perso spontaneità e senso della misura. Un ragazzo gli accenna a qualche fantomatico progetto dove lo vuole coinvolgere e chiede a Colapesce se ha un biglietto da visita, cosa che fa divertire un po’ tutti compreso lui che gli dice solo “Ma chi li usa più! Ci sono i social adesso!”. Un ragazzo in coda urla: “Cercalo su LinkedIn, ha il CV in formato europeo!”.
COLAPESCE – S’illumina – Soundkeeper: Stefania Andreotti
Sul palco il cantautore siciliano mescola un po’ le carte rispetto la sua vocazione di cantautore puro, si presenta con una gigantesca testa di narvalo addosso, a richiamare un po’ il Pinocchio di Comencini un po’ l’antica leggenda siciliana da cui prende il suo nome, indossa una tonaca da sacerdote che mescola sacro e profano per un grande rito collettivo, ed anche la band sembra un piccolo esercito di chierichetti che raccontano l’Italia di oggi, le contraddizioni della politica e della società, in modo più o meno esplicito. I pezzi più intimi dei primi album si alternano alle produzioni dell’ultimo “Infedele” che ha sonorità complesse, sperimentazioni (su tutte l’esperimento riuscitissimo di Compleanno con l’evidente sonorità di Iosonouncane) e arrangiamenti che dal vivo convincono perfino più che nel disco. Due sax alle spalle di Colapesce creano un distacco straordinario tra il brano nudo e crudo e la sua versione estesa, fatta di improvvisazioni e assoli che avvolgono il pubblico in un groove altrimenti insolito per il cantautore siciliano. Come in Maometto a Milano, che raddoppia quasi la sua durata nel live ma è un piacere per le orecchie e denota un livello musicale molto alto sul palco. Colapesce si lascia andare anche a un breve momento per citare il suo maestro Battiato (c’è un siciliano che non abbia come riferimento Battiato?) o per gioco Renato Zero sul finale di un altro brano, scherza con il pubblico che resiste a qualche goccia di pioggia (“In Sicilia in queste condizioni sarebbero fuggiti tutti”, dice) e regala un encore davvero lungo per non lasciare più il palco, scendendo tra i fan a cantare insieme in questa magica cornice che è il Castello Estense le sere d’estate.
S’illumina la notte poi s’illumina
Si spengono i cartelli luminosi
E piove luce intorno a noiM’illumino la notte non c’è stata mai
E dalle feritoie sanguina il castello
Non si può non voler bene a Colapesce, dicevo. Uno che poche settimane fa ha pubblicato una canzone deliziosamente anni ’60 per la Danish Cancer Society per sensibilizzare il popolo danese sui rischi del cancro alla pelle. Aiuta un danese è un pezzo che gioca sui luoghi comuni italiani, il sole, il mare e ovviamente i turisti danesi. Questa è la versione italiana: