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Non sarebbe affascinante vedere di nuovo il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia con i colori brillanti di un tempo e tutti i dettagli ormai perduti delle pareti sud e ovest? Cose da grafica al computer, ricostruzioni sofisticate come si vedono nei programmi tv come SuperQuark? Niente di tutto questo: la tecnologia moderna lascia spazio a tanto studio, mesi di osservazioni e ricostruzioni, matita e acrilico.
L’estro di Maurizio Bonora torna a Palazzo Schifanoia dopo aver ricostruito nel 1992 con matita e pennello i decani cancellati dal tempo dalle pareti sud e ovest del Salone voluto da Borso d’Este nel 1469. Un lavoro straordinario che tenta di raccontare e ricostruire un altro tassello di un’opera che il tempo ha reso in parte poco conoscibile, quello relativo agli scuri che coprivano le finestre del palazzo, pannelli di legno scomparsi da secoli che nel salone erano insolitamente posti all’interno.
La chiusura delle imposte mirava a rendere l’interno della stanza un organismo perfettamente unitario. L’effetto si otteneva dipingendo su entrambi i lati: con l’anta aperta era visibile la replica dell’area che il pannello andava a coprire; l’anta chiusa mostrava invece la prosecuzione della composizione visibile nelle aree adiacenti aggiungendo un elemento figurativo e creando un percorso narrativo organico che non veniva interrotto neppure dalla presenza delle finestre e, presumibilmente, delle porte.
Bonora è partito dalle poche tracce dipinte a secco sopravvissute nella parete adiacente e ha ricostruito, con l’occhio del pittore, le porzioni figurative mancanti, interpretando le lacune sulla base della profonda conoscenza dell’arte ferrarese del Quattrocento, maturata in anni di studio.
La ricomposizione di uno dei sette grandi scuri del Salone dei Mesi operata dall’artista ferrarese è una straordinaria operazione di conoscenza, che consente dopo secoli di comprendere appieno l’originaria funzione di questi elementi decorativi. Considerando inoltre che l’attuale porta di accesso al salone è un invenzione ottocentesca ma in origine era posta su una parete interna al palazzo con annesso scalone monumentale, la prima scena che si poteva ammirare entrando era proprio quella ricostruita da Bonora, forse la chiave di lettura dell’intero ciclo, quantomeno un elemento iniziale di grande rilevanza.
Il lavoro di recupero si inserisce in un percorso di indagine avviato dai Musei di Arte Antica e dall’Istituto di Studi Rinascimentali nel 2014, finalizzato a ricostruire le porzioni mancanti della decorazione del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia.
Maurizio Bonora così ha spiegato parte del lavoro fatto in questi mesi:
C’è qui una ricostruzione ma anche una ricreazione: a differenza del restauro non ho lavorato per ripristinare l’opera originale al suo splendore ma ho raccolto elementi per ipotizzare come poteva essere qualcosa che oggi non vediamo più.
Più facile è ricostruire le parti mancanti laddove ci sono elementi precisi e vincoli da rispettare: nella parete scorgiamo infatti i profili delle figure che ci lasciano intendere come fosse la composizione. Dai frammenti vediamo alcune figure di spalle, ne conosciamo le posizioni, abbiamo tutti gli elementi per comprendere la scena. Le figure femminili sono vicine tra loro, conversano, i bambini giocano poco interessati alla scena e gli uomini sono posizionati più indietro. Si tratta di un’interpretazione ma è un assembramento di persone con caratteristiche precise. Tutto va a supportare l’ipotesi di una benedizione solenne.
Dell’anta degli scuri però non abbiamo alcun indizio, possiamo solo ipotizzare – quasi con certezza – che la scena proseguisse quanto raffigurato in parete. Le finestre davano continuità all’affresco e quindi usando le tracce della parte rimasta possiamo immaginare come continuare la rappresentazione fino al pilastro successivo: il pavimento, gli allineamenti delle colonne, fregi e colori di fondo che si alternano. Per ricostruire le figure umane dobbiamo invece lavorare di fantasia, immaginando di riprodurre abiti e personaggi che sono presenti nella metà rimasta in parete: uomini, donne e bambini posti alla stessa altezza con uno sguardo rivolto verso l’alto, dove avviene la scena più importante e principale: Federico III che conferisce il titolo di Duca di Modena e Reggio a Borso d’Este, nel 1452. Non c’è certezza che sia proprio così: alcune correnti di pensiero ritengono sia invece Papa Paolo II che conferisce a Borso il titolo di duca di Ferrara, nel 1471. In questo caso l’opera stessa potrebbe incredibilmente aver immaginato ed auspicato questo momento visto che è stata completata ben prima del 1471!