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Tornare ad un concerto è stata un’esperienza importante, potente e catartica proprio come molti immaginavano fosse. Abbiamo atteso a lungo di poterci rivedere sotto un palco: non anni, soltanto mesi, ma per alcuni sono stati eterni, abituati come eravamo a frequentare club, circoli, festival e in generale posti che permettevano di ascoltare musica dal vivo.
Tornare a farlo ora, a pandemia non ancora conclusa, con restrizioni, compromessi e mille cavilli che rendono complicata la vita agli organizzatori ma pure a chiunque compri un biglietto per esserci comunque, forse non sembrerà proprio bello come prima.
“Credo che un’Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa”, diceva Stefano Accorsi in Radiofreccia. Forse dovremo provare ad evitare comparazioni e classifiche tra prima e dopo, tra cosa ci piace di più e cosa di meno, se Ferrara Sotto Le Stelle in piazza oppure al parco, se quella volta che suonavano i nostri preferiti, o questa dove non conoscevamo più nessuno perché nel mentre siamo invecchiati un po’.
Perché uno spartiacque, va detto, c’è stato eccome: nel giro di due anni Ferrara ha conosciuto un cambio di amministrazione epocale che ha modificato molti scenari anche in ambito culturale, e a seguire una pandemia che ha riscritto le regole di ogni gioco, imponendo tagli, paletti, vincoli su qualunque divertimento collettivo. Che per un festival che dura da venticinque anni significa con molto coraggio mettere un punto, andare a capo e ricominciare praticamente da zero.
Ieri i Radiohead in piazza Castello, le folle sudate che non andrebbero più via in cerca del terzo bis. Oggi il parco Massari de La Rappresentante di Lista, con le piazzole assegnate in terra, una cornice green di cui avere massima cura, orari contingentati, volumi educati. Ieri le grandi star mondiali in data unica, oggi un cartellone che parla solo italiano (gli Shame sono stati purtroppo cancellati all’ultimo proprio per le restrizioni Covid). Ieri le file dal pomeriggio, accampati davanti all’ingresso con i bagarini urlanti, oggi code quasi assenti, biglietti prenotati online e comunque sold out. Ieri la pioggia come esperienza godibile e assolutamente rock’n roll, oggi l’ultima sera di Venerus cancellata perché seduti in terra nel fango non è esattamente il massimo della festa. Ieri pieghevoli, fanzine, depliant all’ingresso, oggi un’edizione green che parte proprio dall’essere paperless e dove cinque minuti dopo la fine del concerto il prato era in queste condizioni. Perfetto, pulito, in ordine.
Ci vuole grande coraggio per ripensare un festival “Covid edition”, per esserci lo stesso e dare un messaggio forte dopo un anno e mezzo di digiuno musicale: bisogna appunto ripartire da zero. La scommessa del nuovo direttore artistico Corrado Nuccini, ma anche di buona parte dello staff completamente rinnovato (e ringiovanito) è senz’altro vinta: organizzazione impeccabile e lo stare al parco a godersi musica e stelle è stato un piacere in queste serate estive. Mi è parsa a tratti una versione futuribile di quei concerti di cui abbiamo memoria e diciamo di rivolere indietro. Come saranno i live in un mondo che collassa tra cambiamenti climatici e nuove malattie? Proprio così: in mezzo alla natura, rilassati, rigeneranti.
Qualcuno balla sul posto, qualcuno fuma, qualcuno non rinuncia alla canonica birretta, c’è chi si stende sul telo come fosse in spiaggia e guarda le fronde degli alberi ondeggiare senza pensare a niente, godendosi un momento di totale relax, lo staff gironzola leggero su monopattini silenziosi. Torneremo indietro alla bolgia che spintona e si canta addosso? Agli smartphone accesi per fare foto orribili coprendo la visuale a quelli dietro? Forse si, e ne abbiamo ancora bisogno perché certe esperienze siamo abituati a viverle in un modo ben preciso, con tutta la ritualità che le contraddistingue. Eppure questa edizione di Ferrara Sotto Le Stelle ci mostra che un altro festival è possibile, che nuovi modi di stare insieme e godere di uno spettacolo non sono soltanto percorribili ma sono pure belli, in modo diverso e nuovo rispetto a prima.
La speranza resta quella di rivedere già il prossimo anno il centro di Ferrara e di tornare a condividerlo orgogliosamente con i tanti ragazzi che ogni anno vengono da lontano solo per una notte. Perché andare ai concerti in bici, a due passi da casa e dalla piazza, è sempre stato un piccolo momento tutto nostro che forse in altre città non possono capire e che molti ci invidiano. Qui dove le rondini si fermano il meno possibile (cit.) abbiamo fatto un pezzo della storia della musica live italiana, e abbiamo bisogno di ricreare quella magia ancora a lungo.
Eppure a me un’altra edizione nel parco non dispiacerebbe, che sia al Massari o al più grande Parco Bassani di cui tanto si parla da anni. Forse il connubio tra musica e natura è la formula più giusta per le nuove generazioni, quella che incarna meglio lo zeitgeist di questo piccolo dopoguerra che stiamo vivendo. In fondo gli ingredienti principali della formula rimarrebbero invariati, musica ed amici non mancheranno mai.
Girare tra le stradine del Parco Massari seguendo le indicazioni luminose, come fosse un piccolo paesino di campagna, è stato per molti un modo per ritrovare e finalmente ritrovarsi: dove eravamo rimasti? Eccoci di nuovo qui tutti insieme, dai che stiamo superando anche questa. Per fortuna certe cose non cambiano mai.