Torna agli Articoli
Dopo un anno in cui siamo stati forzatamente chiusi in casa ci siamo via via resi conto che alcuni comportamenti prima eccezionali sono diventati sempre di più all’ordine del giorno, e non torneremo più indietro a “come eravamo prima”, neppure quando un giorno tutta questa faccenda del Covid sarà finita. Un’abitudine tra le tante che è letteralmente esplosa di questi tempi è ad esempio quella del cibo da asporto o consegnato a domicilio. Una consuetudine che viene da molto lontano, quando si ordinavano le prime pizze a casa negli anni Ottanta, poi i kebab, il sushi e via via ogni moda possibile, fino al boom degli hamburger e dal 2020 anche dei ristoranti del centro, che non potendo servire pasti in presenza sono gli ultimi arrivati in un settore già molto complesso.
Il mondo dei servizi di “delivery” ha essenzialmente quattro attori: le aziende, i clienti, i ristoratori e chi consegna cibo o la spesa a domicilio. Più di tutti questi ultimi sono diventati protagonisti indiscussi di questo lockdown prolungato: si presentano ad ogni ora a casa nostra, li incontriamo, ci parliamo, li ringraziamo e a volte ci scusiamo perfino con loro che fanno semplicemente il loro lavoro. Fino a pochi anni fa erano solo portapizze, lavoro per eccellenza di studenti e neolaureati in attesa di impiego stabile, ma oggi come molti altri lavori hanno un nome anglosassone a rappresentarli, perché consegnano davvero di tutto.
Sui rider (in inglese fantino, ciclista, genericamente colui che su un mezzo trasporta merci da un punto A a un punto B) si è parlato e scritto molto negli ultimi mesi, soprattutto li abbiamo visti sfrecciare per le strade nelle notti di lockdown, nel silenzio totale, con qualunque mezzo di locomozione, dalla bicicletta classica ai monopattini elettrici. Ce ne sono forse un centinaio soltanto nella città di Ferrara, molti si conoscono e salutano, trascorrono i tempi morti insieme in chiacchiera, altri sono più schivi o preferiscono restare in giro nelle zone calde per catturare più ordini possibili. Fare il rider è un lavoro ambito e al contempo amato e odiato, sia da chi lo fa, sia da chi al caldo di casa sua attende che gli sia recapitato quanto ordinato.
Io di come funzionano questi servizi, di come vengano gestiti gli ordini e di cosa succeda un istante dopo aver premuto ORDINA su un’app del mio smartphone, non sapevo nulla fino a poco tempo fa. Così ho chiesto ad alcuni di loro di togliermi ogni curiosità e raccontarmi come lavorano, intervistandoli e mettendo a confronto le risposte per saperne di più. Quante ore lavori? Quanto guadagni? Quanti chilometri fai? Sei tutelato e assicurato? Cosa succede se la mia pizza non arriva?
Due cose mi hanno colpito fin da subito: la prima è la voglia di raccontare finalmente a qualcuno cosa succede nel mondo dei rider, di svelare alcuni dettagli e di potersi togliere qualche sassolino, la seconda è che non ci sono state particolari differenze nei racconti e tutti hanno comunque un parere generalmente positivo su questo tipo di lavoro.
Le persone intervistate, di cui ometteremo l’identità, hanno dai 30 ai 45 anni, vivono e lavorano a Ferrara per le tre compagnie operanti sul nostro territorio fino a questo momento, cioè Just Eat, Deliveroo e Glovo e hanno risposto alle mie domande a gennaio 2021. È importante sottolinearlo perché il mondo dei rider è in continua evoluzione e gli scenari nel 2021 sono destinati a cambiare molto in fretta.
Come si diventa rider?
L’inizio coincide per quasi tutti con l’inizio della pandemia Covid, momento nel quale il proprio lavoro si ferma o ci si trova a casa senza opportunità di impiego particolari. Una ragazza che lavorava nel settore turistico racconta che l’idea le è venuta quando è stata investita proprio da un rider di passaggio, e di aver realizzato in quel momento che poteva essere una buona idea per questo periodo di riposo forzato dalla sua principale professione. Per molti è appunto un lavoro di ripiego, temporaneo, in attesa di tempi migliori, per altri un modo di guadagnare bene facendo una cosa piacevole come girare in bici nella propria città.
Si fa domanda online, non servono requisiti particolari e tecnicamente non c’è nemmeno un’età limite, si ottiene risposta entro massimo un paio di mesi ma in questo momento le liste di attesa sono molto lunghe o bloccate perché c’è troppa richiesta rispetto alla reale necessità.
Alcune cose in ogni caso bisogna per forza averle:
– la maggiore età
– un veicolo (sceglie il rider se utilizzare bici, bici elettrica, scooter o auto, non vengono forniti in comodato d’uso)
– uno smartphone con un piano dati attivo e l’app della compagnia di delivery
– uno zaino per le consegne di cibo a domicilio e una borsa termica, spesso consegnate come welcome kit dalle compagnie.
– un documento di identità valido e o il permesso di soggiorno per chi non è cittadino UE
– un conto corrente dove ricevere i compensi
Che contratto ha un rider?
Ogni rider attualmente è un lavoratore autonomo. Significa che ha aperto partita iva se già non la aveva per altri codici Ateco e rinuncia a ferie e malattie, ma gode di totale libertà di azione durante le ore settimanali. Se resta sotto i 5000€ di fatturato annuo può trattarsi naturalmente di prestazione occasionale. Da settembre 2020 grazie ad Assodelivery e il sindacato UGL è stato siglato un CCNL, di cui molti si lamentano perché ritenuto non necessario. Con il CCNL il compenso minimo è fissato in 10 euro all’ora, ci sono indennità integrative per lavoro notturno, festività e maltempo ma la verità è che arrivano in grande ritardo e le cifre sono pari a pochi euro al mese. Il compenso minimo è una novità rispetto alla mancanza di garanzie che c’era in precedenza, ma secondo molti nei fatti i guadagni sono calati rispetto a prima di settembre scorso e dunque risulta svantaggioso sotto questo aspetto. Sulla carta sono previste dotazioni di sicurezza a carico delle piattaforme come indumenti ad alta visibilità e casco per chi va in bici, copertura assicurativa contro gli infortuni e per danni contro terzi. Un rider può comunque decidere di lavorare per più servizi di delivery: è una situazione comune e consente di aumentare il guadagno sfruttando i tempi morti di ognuno o i differenti turni.
Se ci si ammala o c’è maltempo si lavora lo stesso?
L’autonomo a casa in malattia non lavora e non guadagna nulla, ma per i rider c’è un indennizzo in caso di positività al Covid-19. Se piove o nevica l’incentivo è minimo ma decide in autonomia il rider se lavorare o meno, a nessuno viene imposto dai servizi di delivery di essere online ed operativo, quindi lavorare in condizioni estreme non viene visto negativamente, ed anzi essendoci meno concorrenza in giro è più probabile fare molte consegne in poche ore.
Come funziona la giornata lavorativa?
I rider vengono pagati a cottimo: più rimangono online e disponibili più aumentano le possibilità di guadagno. Questo è vero in parte, perché ad esempio Just Eat stabilisce dei turni settimanali di due o tre ore che vengono comunicati ogni giovedì in base alla disponibilità che ognuno offre. Puoi anche offrirti per fare due turni in una giornata, ad esempio pranzo e cena. Anche Deliveroo usava un sistema di turni fino a novembre 2020 ma di recente ha introdotto il cosiddetto free login: quando sei pronto e vuoi lavorare apri l’app e sei online, un po’ sul modello dei “taxi” di Uber. Da quel momento possono arrivare i primi ordini fino a quando stacchi, in totale autonomia, il turno di lavoro.
Quasi tutti attendono il primo ordine direttamente a casa, e si muovono per raggiungere il ristorante assegnato per il ritiro. A Ferrara il mezzo più utilizzato e pratico è la bici, consente di raggiungere anche le vie più antiche del centro storico senza intoppi, fa bene alla salute e per il raggio di azione delle piattaforme di delivery consente di arrivare anche ai margini della città, nella prima periferia. In una giornata con alcune ore di lavoro e molte consegne si possono arrivare a percorrere anche 60 o 70 chilometri in totale: per chi fa della bici uno stile di vita è un vero piacere, persino durante i numerosi tempi morti tra una consegna e l’altra. Con l’esplosione di assunzioni nel corso del 2020 infatti, piattaforme come Just Eat si ritrovano ora con un numero di rider superiore alla necessità di una città medio-piccola come Ferrara, quindi il lavoro procapite è calato un po’ rispetto a pochi mesi fa. I tempi di attesa tra un ordine e l’altro sono spesso superiori a quelli di consegna: c’è chi si ferma al bar per un caffè e un libro e chi preferisce girare a vuoto nelle zone con i locali più richiesti (indicate dall’app) per essere scelto con più facilità.
Chi decide quale rider chiamare per una consegna?
Come tutte le “cose digitali” al giorno d’oggi dietro a tutto c’è un’algoritmo. Come funziona non è dato saperlo ai rider, nemmeno all’assistenza con cui sono collegati quotidianamente per eventuali intoppi. L’algoritmo ragiona essenzialmente per prossimità: il rider più vicino dovrebbe avere la precedenza ma non è sempre così. Conta anche il mezzo su cui sei, il tipo di cibo che trasporti e altri fattori che non vengono dichiarati pubblicamente e portano a volte a piccole recriminazioni. Il rider di Deliveroo può accettare o meno l’ordine (con Just Eat tendenzialmente no, se non via chat con l’assistenza motivando il rifiuto), se per sua convenienza decide di non farlo il sistema assegna la consegna ad un altro rider e così via. Man mano che questo succede il compenso per la consegna aumenta, in modo del tutto indipendente dal valore dell’ordine stesso: un ordine rifiutato da molte persone diventa molto redditizio per chi infine lo accetta. Alcuni rider rinunciano a consegne distanti 6 o 7 km preferendo farne magari di più e a stretto raggio nello stesso periodo di tempo, ma è difficile sapere se si riceveranno davvero molti ordini o si attenderà a vuoto. Gli ordini in ogni caso vengono pagati ai rider in base alla distanza percorsa, dunque più sono lontani più valgono.
Quanti ordini si portano in giro per ogni viaggio?
Niente effetto mulo da soma: massimo due pasti, per un peso complessivo sulle spalle di pochi chili nella peggiore delle ipotesi, del tutto gestibili da qualunque fisico a qualunque età. Su ogni ordine c’è il codice del cliente, all’arrivo si verifica che il codice sull’app corrisponda a quello sul pacchetto che viene consegnato e si parte. Quasi impossibile sbagliarsi, alcuni rider lo trovano un lavoro dove si può quasi spegnere il cervello, rilassante e non impegnativo. Al termine della consegna si attende l’ordine successivo che suonerà sullo smartphone dopo minuti (o ore) oppure ci si può mettere offline terminando la sessione di lavoro, anche in anticipo dove sono previsti turni. Il nostro videomaker Shahzeb Mohammad, che tra le altre cose è anche studente di Ingegneria e rider nel tempo libero ha girato questo simpatico video per rendere l’idea della routine di un turno di lavoro.
Se succede un incidente o ritardo troppo la consegna e il cliente si lamenta?
Il rider non ha colpe se ritarda, se ha un incidente e non si presenta in tempo, se il cliente spazientito chiama il servizio di delivery o il ristoratore per lamentarsi. Non ci sono penali per lui o feedback negativi che influenzano il lavoro nei giorni successivi. Al limite il cliente riceve un buono sconto sul prossimo ordine, il ristoratore si accorda con il servizio delivery su come procedere per una nuova consegna.
Perché a volte invece del rider si presenta il titolare del locale a consegnare il pasto?
I ristoratori stipulano un contratto commerciale con i servizi delivery, che offrono loro il tablet per gestire le prenotazioni, oltre ovviamente alla presenza sull’app e a volte pubblicità sui social o altri canali a loro discrezione. Quel contratto può essere di due tipi: con rider o senza. Alcuni locali decidono così di consegnare per proprio conto i pasti, impegnando il titolare stesso o un proprio dipendente. Se un locale ha un contratto senza rider non potrà avvalersi della consegna del servizio delivery in modo saltuario, a meno di rivedere del tutto l’accordo commerciale.
Quanto si può guadagnare al mese?
La vulgata sostiene che il rider sia un mestiere ben pagato, un nuovo eldorado per studenti fuorisede e disoccupati in cerca di impieghi facili. Vero in parte, ma come ogni autonomo la cifra finisce per oscillare a causa di tante variabili, una su tutte la concorrenza. Il sistema calcola la distanza complessiva che copri per ogni consegna: da dove ti trovi attualmente fino al ristorante e dal ristorante al domicilio dove consegni l’ordine. Più è lungo il percorso più vieni pagato, non importa cosa contiene l’ordine, sia un hamburger del Mc Donald’s o una cena a base di crudità di pesce.
Con Glovo si consegnano anche generi non alimentari ma funziona maggiormente nelle grandi città, a Ferrara si arriva a guadagnare circa 30-40 euro al giorno. Chi lavora per Just Eat viene pagato settimanalmente, coprendo due turni in un giorno si possono arrivare a fare 60 euro lordi, la metà se si fa ad esempio soltanto la sera. Una consegna può arrivare ad essere pagata dai 6 agli 11 euro a prescindere dal valore del cibo trasportato, ma in una giornata si fanno meno consegne rispetto altre piattaforme perché il numero di rider in giro è altissimo.
Deliveroo paga solitamente qualcosa in meno, ma può arrivare anche a 7/10 euro per ordine. I guadagni sono più alti per ogni rider perché ne girano meno, quindi in una giornata ognuno fa più consegne rispetto la concorrenza: anche per questo ha un grado di soddisfazione molto alto tra i suoi utenti. L’app di Deliveroo consente inoltre a chi ordina il pasto di stabilire a monte una mancia per il rider, pagata in anticipo tramite carta o Paypal. Su Just Eat o Glovo le mance non sono gestite tramite app quindi chi ordina tendenzialmente non ne dà alla consegna, fatta eccezione per un numero molto ridotto di clienti, che comunque non consente di arrivare alle cifre raccolte tramite la piattaforma concorrente.
I conti della serva, per dare meglio l’idea?
Compenso mensile: fino a 1900/2000 euro al mese lavorando 10 ore al giorno per due piattaforme e girando in bici senza rifiutare nessun ordine, 1200/1400 euro lavorando poche ore al giorno coprendo un turno (che comunque non parte mai prima delle 11 del mattino) e riposando il resto della giornata.
Gli extra: fino a 80 euro di mance in un mese con Deliveroo, meno della metà in contanti alla consegna sulle altre piattaforme.
Rimborsi per maltempo: un rider racconta di aver raccolto 5 euro in totale per le compensazioni di due mesi freddi e piovosi come novembre e dicembre. Sono cifre che ovviamente cambiano per ogni rider ma danno un’idea dell’ordine di grandezza.
Se ordino una pizza da 7 euro e la consegna è pagata 10 al rider, dove sta il guadagno per i servizi delivery?
Come detto sopra i ristoratori hanno accordi commerciali con i servizi delivery che cambiano in base all’utilizzo o meno dei rider, trattenendo una percentuale sull’ordine che oscilla tra il 15 e il 30%. Il resto va al ristoratore che comunque sostiene svariati costi fissi e ha un margine interessante solo con un numero di consegne molto alte, altrimenti l’investimento è fatto più sul marketing e la promozione. La presenza di un locale sui circuiti di delivery è per molti essenziale perché porta notorietà e fa girare il nome di attività anche aperte da poco, specialmente su un target molto giovane. Tuttavia affidarsi alle app significa invogliare il cliente a farlo attraverso quel circuito a discapito del vecchio volantino con il numero di telefono. Così non è raro trovare nell’ordine in consegna un volantino promozionale o un codice sconto speciale per chi ordina direttamente dal locale alla vecchia maniera.
E il servizio delivery? Trattiene dal cliente il costo di consegna, la percentuale sull’ordine e il costo di iscrizione al sistema dai ristoratori. Il resto è economia di scala e spalle larghissime: per brand ormai diffusi globalmente non c’è alcun problema a consegnare magari un panino da pochi euro pagando il triplo i rider che lo trasportano.
I rider quindi sono frustrati o soddisfatti?
I compensi in alcuni casi portano i rider a guadagnare più del lavoro precedente, quando era presente, contribuendo alla percezione di questo lavoro come un vero toccasana in periodi incerti dove tanti amici sono disoccupati o in cassa integrazione. Il contratto nazionale ha però ridotto le tariffe che venivano riconosciute e quindi è sensazione diffusa che in nome di tutele che spesso poi non trovano attuazione (e per via di assunzioni a raffica di nuovi rider), in tasca finiscano meno soldi rispetto anche solo a un anno fa. Insomma il boom di questo mestiere ha spalmato la ricchezza su più persone, così i rider si sono trovati con qualche tutela in più ma con meno lavoro da compiere e lunghe attese a vuoto tra una consegna e l’altra. Naturalmente la situazione cambia da città a città in base ai consumi e alla tipologia di offerta presente sul territorio.
Il pagamento a cottimo e il contratto come autonomi in generale piacciono, si legano ai concetti di libertà e flessibilità che i rider si aspettano da un lavoro temporaneo come questo, dove non serve giacca e cravatta, il contatto con il pubblico è ridotto al minimo e gli orari sono quelli che ogni persona preferisce. Sicuro non persone in cerca del posto fisso tanto agognato dai genitori o del lavoro della vita. È bello pedalare e guadagnare, si rimane in forma e all’aria aperta, lo stress tutto sommato è ridotto al minimo, ma nessuno pensa di poter fare questo lavoro per più di qualche anno.
I sindacati spingono per contratti a tempo determinato, qualche servizio di delivery ci sta facendo un pensiero e probabilmente Just Eat sperimenterà questa formula in affiancamento ai rider autonomi entro la primavera 2021. Ma c’è chi storce il naso: una volta assunti i dipendenti potrebbero non lavorare con lo stesso zelo degli autonomi e la retribuzione fissa andrebbe proprio contro lo spirito di flessibilità che da sempre è associata a questa professione.
Scenari incerti e in veloce mutamento per lavori flessibili e dinamici. Lo specchio dei nostri tempi.