3 Ottobre 2018

Una nuova carta d’identità. Elettronica, digitale, moderna. No, moderna no.

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È scaduta la carta d’identità e la devo rifare. Ora al posto di quella enorme in cartoncino marrone anche a Ferrara puoi fare quella elettronica, grande come una carta di credito. Pensavo fosse un’opzione per impallinati di tecnologia invece è obbligatoria, costa 22 euro. Se mediamente durante la settimana lavori hai modo di recarti all’ufficio Anagrafe solo nei weekend, anzi solo il sabato, anzi il sabato mattina, dove c’è tutto il mondo che, appunto, in settimana invece lavora. Se ci vai il sabato devi prenotare prima su internet. Se vai per sbaglio all’ufficio senza prenotazione ti rimbalzano, ti dicono di leggere i cartelli, che sono appesi un po’ ovunque ti giri per ricordarti che non hai prenotato e puoi anche tornare a casa. Non lo sapevi? Informati, cerca su Google, arrangiati.

La prenotazione sul sito del Ministero dell’Interno richiede una registrazione, una conferma, una password, infine un account. Volevo solo una carta d’identità nuova ma ora mi ritrovo un account, necessario solo a richiedere nuove carte d’identità, quindi forse mi servirà di nuovo tra dieci anni e nel mentre avrò scordato password, avrò cambiato mail, nome, sesso, religione. Chissà. Il calendario prenotazioni è più sconfortante di quello del mio dentista, gli appuntamenti sono tutti pieni e il primo buco utile è dopo un mese. Accetto di prenotare un mese dopo, non che abbia particolarmente fretta. Visto che è scaduta appena pochi giorni prima anche a mia moglie (scherzi del destino, dieci anni fa non ci conoscevamo nemmeno) cerchiamo di prendere un unico appuntamento. Ovviamente non si può, altra registrazione, altro account, altro calendario disponibile, per fortuna però troviamo l’ultimo appuntamento libero della giornata subito dopo il mio. Prenotiamo. Presentarsi a stomaco pieno con una fototessera e il vecchio documento da distruggere. Segno in agenda e non ci penso più per il resto del mese.

Mancano poche ore all’appuntamento, mi rendo conto che non ho una fototessera, quella che avevo fatto due anni fa è andata sicuro perduta in un trasloco e poi ero senza occhiali perché sul passaporto non li vogliono. Ho una faccia serissima che sembro un terrorista, anche cercandola non voglio che mi rappresenti per altri dieci anni. Prendiamo la reflex, scendiamo in cortile all’una del pomeriggio con un sole cocente che riflette sul muro di casa, impossibile tenere gli occhi aperti, ma in casa non c’è una parete libera completamente bianca quindi dovrò tenere duro. Mia moglie scatta su mia richiesta almeno 20 pose che differiscono per pochi millimetri, così che possa passare il resto della giornata a guardarle una ad una per scegliere quella dove ho un’espressione accettabile. Ne scelgo una, la ritaglio, sistemo le luci, la adatto al formato tessera perché così non devo far altro che stamparla in qualche copisteria poco prima di andare all’anagrafe. In copisteria però ‘è troppa coda, non ho tempo per fermarmi di ritorno dall’ufficio, quindi rinuncio, perché sul sito del Ministero dice che si può portare anche su chiavetta usb, già in digitale. Penso subito male: figurati se da noi l’accettano.

Arriviamo all’anagrafe in perfetto orario, abbiamo prenotato, l’attesa si riduce forse a un paio di minuti e poi metto sul tavolo il vecchio documento annunciando che devo rifarlo. Porgo la chiavetta usb con la mia foto all’impiegata dello sportello:

– La foto ce l’ho qui su, in formato jpg. È già ritagliata, bilanciata, centrata, lucidata.
– Non riesco a prenderla dalla chiavetta, devo scansionarla, non me l’accetta – risponde pazientemente l’impiegata
– Ma il sito diceva… Allora gliela mando per mail, posso?
– Potrebbe, ma non me l’accetta lo stesso, deve essere scansionata, la vada a rifare qui fuori dal fotografo, su.
– Scusi allora facciamo così: io le do la chiavetta, lei scarica il file, lo STAMPA con la stampante dell’ufficio, poi lo scansiona nuovamente e il gioco è fatto – propongo noncurante che in questo passaggio la foto uscirebbe un po’ degradata
– Se faccio così – risponde sempre paziente l’impiegata – poi lo scanner me la salva a dimensioni enormi e il sito del Ministero non l’accetta
– Ma si può regol…
– Faccia la foto di nuovo dal fotografo, su. Oppure se la faccia stampare. È qui dietro, in fondo ai portici.

Alla faccia della modernità e della tecnologia vado dal fotografo a stampare, ma invece del classico Mac fighetto da fotografo la titolare del negozio ha un macchinario touch fai-da-te che legge tutti i supporti digitali, salva i file e li stampa. Tutti i supporti meno la mia chiavetta, che per sicurezza il giorno prima avevo formattato per MS-DOS, così da essere compatibile con qualunque computer prodotto dal 1989 ad oggi. E invece. Glielo mando per mail dal cellulare – dico, sfiorando il fanatismo, pur di avere la foto che dico io sul mio documento d’identità. Quando finalmente riesce ad aprire il documento dalla mail la fotografa mi avverte:

– Hai gli occhiali nella foto, non vanno bene.
– Beh, si. Anche ora ho gli occhiali, li indosso sempre.
– Non li accettano, ora non si può più.
– Ma la mia faccia è questa, inclusi occhiali, senza credo di restarci una manciata di secondi appena uscito dalla doccia, che documento di identità è se non mi assomiglia?
– Adesso va così, anche nei passaporti non si può più tenerli indosso. Chieda all’anagrafe per conferma.

Una persona normale arrivati a questo punto avrebbe già gettato la spugna da un pezzo, invece io mi gioco l’ultima carta: la chiamata a casa. Mia moglie nel frattempo è ancora nell’ufficio Anagrafe e ha già fatto la sua carta d’identità nuova, fornendo una foto già pronta stampata che aveva in casa. Sta aspettando che io ritorni con la mia sospirata foto quando riceve la mia chiamata urgente.

– Puoi chiedere gentilmente all’impiegata se accettano foto con occhiali? Alla fine è lei che decide, no?
– Ma ora c’è altra gente allo sportello, cosa faccio, vado lì e interrompo per chiedere questa cosa? Rifalla e basta, fai prima.
– Proviamo lo stesso! Chiedi scusa, ti avvicini e ti informi un attimo.

Quando mi richiama un minuto dopo la ferale notizia: l’impiegata sconsiglia gli occhiali, potrebbero fare storie al Ministero, se anche lei chiude un occhio e inoltra ugualmente la richiesta. Torno dalla fotografa sconfitto. Non posso avere la mia faccia sul mio documento.
Va bene, rifacciamola senza occhiali – le dico.
Te l’avevo già detto io, malfidente! – pensa lei.

La mia nuova foto alla fine non è male, senza occhiali e con la maglietta nera sembro un vero duro, tipo istruttore di fitness abbronzato, quando solitamente potrei essere scambiato per un ingegnere o un impiegato della biblioteca. Consegno la foto all’impiegata dell’anagrafe, la scansiona, la taglia brutalmente a casaccio senza rispettare il girocollo della maglietta, la centratura delle spalle e della testa, la proporzione dello sfondo. Qualcosa in me un po’ muore dentro, ma non lascio trasparire alcun dolore, attendo paziente i moduli per le firme e penso che in fondo è solo una carta d’identità.

La cosa più divertente è che un’immagine che nasce digitale finisce stampata per poi tornare digitale, ed essere infine stampata microscopica e in bianco e nero con la stessa qualità di un quotidiano del 1980. Senza che alla fine la persona ritratta assomigli nemmeno lontanamente al proprietario del documento. Miracoli dell’elettronica.

Il facsimile di una carta d’identità elettronica